L'INTERVISTA

Lavoro 4.0, Falciasecca: “Nuovo patto accademia-impresa”

Il presidente della fondazione Marconi: “Indispensabile comprendere quali saranno i nuovi posti di lavoro in modo tale da rimodulare l’offerta formativa”

Pubblicato il 22 Mag 2017

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Grande affluenza di pubblico alla manifestazione conclusiva dei Marconi Radio Days, kermesse di eventi e celebrazioni in onore del Premio Nobel Italiano, organizzata dal 2004 dal Comune di Sasso Marconi e tenutasi quest’anno per la prima volta in tutta l’area metropolitana bolognese.

Nella storica e suggestiva atmosfera di Villa Griffone, teatro dei primi celebri e fondamentali esperimenti sulla telegrafia wireless, il presidente della fondazione Marconi, professor Gabriele Falciasecca, ha delineato alcuni interessanti riflessioni sull’evoluzione e l’impatto delle tecnologie Ict prendendo spunto dal suo ultimo libro “Dopo Marconi il Diluvio”.

Nel corso delle tre grandi integrazioni che hanno segnato l’evoluzione delle tecnologie Ict, multimedialità, mobilità, smartphone e intelligenza artificiale, quali sono state le innovazioni più inaspettate e rivoluzionarie?

Fare previsioni è sempre difficile. Alla luce di ciò, faccio fatica a trovare un’innovazione che più delle altre è apparsa inaspettatamente. Parlerei più di un processo di accumulazione di conoscenze e innovazioni rese possibili dallo sviluppo tecnologico, che a un certo punto determina il raggiungimento di una certa soglia di complessità la quale, una volta superata, dà luogo a effetti rivoluzionari che segnano una nuova discontinuità. In questo contesto si parla di epifenomeno ovvero di un qualcosa che si manifesta solo quando si è raggiunto un certo grado di complessità. Volendo fare un esempio, c’è voluto del tempo affinché il cambio di paradigma introdotto dalla telefonia cellulare, ovvero il passaggio da una comunicazione legata ad un posto fisico a una comunicazione personale legata al singolo individuo, venisse pienamente compreso.

Dato che fare previsioni è molto difficile, cosa è possibile fare per provare a decifrare gli impatti delle innovazioni tecnologiche in modo tale da poterle governare adeguatamente?

Se non possiamo prevedere, possiamo sforzarci di capire. Per far ciò dobbiamo imparare ad ascoltare e considerare attentamente i cosiddetti segnali deboli che si manifestano nell’immediatezza del manifestarsi di un’innovazione tecnologica dirompente e subito prima che vi siano interessi economici e di mercato ormai consolidati. Intervenendo per tempo, imprese e soprattutto Istituzioni possono dotarsi dei mezzi e delle regole necessarie per governare adeguatamente il cambiamento introdotto nel pieno rispetto del nostro sistema di valori. Questi devono sempre essere alla base della definizione degli obiettivi che si vuole perseguire avvalendosi anche, e oggi sempre più, delle innovazioni tecnologiche. Oggi ci troviamo nella fase in cui dovremmo ascoltare i segnali deboli relativi all’Internet of Things in quanto non sono ancora ben noti gli effetti risultanti dalla costruzione di un ecosistema di miliardi e miliardi di oggetti interconnessi, molti dei quali stupidi e semplici esecutori, ma altri invece intelligenti e capaci di prendere decisioni e agire.

Oggi uno dei temi più dibattuti è quello relativo alla cosiddetta disoccupazione tecnologica che vede per la prima volta a rischio anche le professioni intellettuali minacciate dagli straordinari progressi dei sistemi basati sull’intelligenza artificiale. Ci sono segnali deboli anche in questo caso?

I segnali deboli su questo argomento ci indicano innanzitutto che i lavori intellettuali veramente a rischio sono quelli relativi a mansioni ripetitive. Tra le diverse posizioni, i sociologi sembrano i più pessimisti in termini di effetti negativi e posti di lavoro persi; tra gli economisti, alcuni condividono questo approccio mentre altri appaiono moderatamente ottimisti sulle nuove opportunità che si creeranno. Mi sembra particolarmente interessante, invece, la posizione di numerosi imprenditori di imprese ad alto contenuto tecnologico i quali appaiono fiduciosi relativamente alla creazione di nuovi posti di lavoro che sostituiranno quelli resi obsoleti dalle macchine e dai robot. Certamente, come del resto è avvenuto in passato, alcune luoghi subiranno maggiormente gli effetti negativi, mentre altri luoghi beneficeranno di più dei nuovi posti di lavoro creati dalla tecnologia. Un elemento di attenzione è che oggi la competizione globale non garantisce che questo scambio avvenga nella stessa regione o nazione per cui c’è il rischio effettivo di avere un saldo negativo di posti di lavoro. Un tema fondamentale, che coinvolge direttamente le Istituzioni, è quello relativo alle competenze. Poiché è già abbastanza chiaro che le nuove tecnologie rendono velocemente obsolete le competenze acquisite e necessitano di competenze sempre nuove e aggiornate, anche in questo caso dobbiamo ascoltare per tempo i segnali deboli per comprendere quali saranno i nuovi posti di lavoro in modo tale da rimodulare l’offerta formativa. Ad esempio, in ambito universitario, oltre alla necessaria formazione di base, bisognerà aumentare il livello di flessibilità complessivo sviluppando corsi di studio, anche brevi, al passo con le innovazioni e capaci di trasferire rapidamente le competenze giuste da spendere nel nuovo mondo del lavoro. In questo scenario è necessaria, quindi, una nuova alleanza tra il mondo accademico e quello delle imprese, le quali per restare competitive sul mercato avranno bisogno sempre più di profili specializzati.

Tutte le prossime innovazioni Ict dal 5G all’Industry 4.0 non possono prescindere dalla presenza di un’infrastruttura ultrabroadband capillare e affidabile sia sul fisso che sul wireless. Finalmente in Italia si sta accelerando sul piano degli investimenti. Pensa che lo sviluppo di un’offerta adeguata di infrastrutture e servizi possa spingere l’Italia sul fronte dell’adozione del digitale?

Su questo argomento ritengo che la parola chiave sia “feedback” nel senso che la definizione dell’offerta dovrebbe basarsi sull’ascolto delle necessità reali degli utenti in modo tale da rispondere pienamente alle loro esigenze effettive e soprattutto agevolarli nell’utilizzo del digitale mirando a essere il più possibile inclusivi. Ovviamente, il mondo dell’industria deve stimolare la domanda proponendo man mano servizi nuovi e innovativi che pongano il più possibile l’utente al centro.

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