Rallenta nel 2019 la crescita di Industria 4.0. In base ai risultati del primo trimestre la crescita si attesta al +10-15% rispetto al 2018 quando era stata del +35%. E’ quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Industria 4.0 della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net), presentata stamani al convegno “Industria 4.0: la rivoluzione si fa con le persone!” che si è tenuto a Milano presso l’Auditorium di Assolombarda e che si focalizza sul 2018.
Secondo il report, il mercato nel 2018 si attesta su un valore di 3,2 miliardi registrando una crescita del 35% rispetto al 2017, trainata dai frutti degli investimenti effettuati nel 2017 (e fatturati nel 2018) sulla spinta del Piano Nazionale Industria 4.0, +140% se si considerano gli ultimi quattro anni, a cui va aggiunto un indotto di circa 700 milioni di euro in progetti “tradizionali” di innovazione digitale (circa 300 milioni in più dell’anno precedente).
L’85% del fatturato è composto da Industrial IoT, Industrial Analytics e Cloud Manufacturing. 800 applicazioni 4.0 censite in Italia, in media 4 per azienda. I progetti consolidati hanno portato flessibilità e minori costi.
Le tecnologie 4.0 più diffuse sono IT, in particolare l’Industrial IoT (la componentistica per connettere i macchinari alla rete) che con un valore – sempre riferito al 2018 – di 1,9 miliardi rappresenta il 60% del mercato e registra la crescita più marcata (+40%), seguito da Industrial Analytics, con 530 milioni di euro (17% del mercato, +30%), e Cloud Manufacturing con 270 milioni di euro (8%, +35%). Fra le Operational Technologies, l’Advanced Automation conquista la maggiore quota di mercato con 160 milioni e una crescita del 10%, seguito dall’Additive Manufacturing con 70 milioni di euro, mentre l’Advanced Human Machine Interface segna la crescita più robusta (+50%, 45 milioni di euro). L’ultima fetta del mercato è costituita da attività di consulenza e formazione legate a progetti Industria 4.0: 220 milioni di euro (+10%), un dato inferiore alle aspettative che evidenzia come ci sia ancora molto da fare sul fronte delle competenze.
Per crescere, il mercato italiano secondo gli analisti deve coinvolgere i dipartimenti HR e i lavoratori nella progettazione e nello sviluppo delle soluzioni. I lavoratori sono gli utilizzatori finali delle tecnologie, ma soltanto nel 7,8% delle aziende sono stati coinvolti attivamente in tutte le fasi dei progetti e in oltre un caso su quattro (26,6%) non sono stati nemmeno informati della presenza di una strategia 4.0, mentre in appena il 6,8% delle imprese la funzione HR ha partecipato a queste iniziative.
“Molti investimenti e progetti di digitalizzazione industriale sono stati fatturati nel 2018 accelerando l’espansione del mercato, che è più che raddoppiato negli ultimi quattro anni – spiegano Alessandro Perego, Andrea Sianesi e Marco Taisch, Responsabili Scientifici dell’Osservatorio Industria 4.0 -. La consapevolezza e la conoscenza delle tecnologie 4.0 sono ormai diffuse in tutte le realtà produttive del Paese, ma per cogliere tutte le opportunità offerte da questa rivoluzione è necessario definire con chiarezza un ruolo che guidi il cambiamento digitale e affiancare alle nuove tecnologie un modello organizzativo capace di coinvolgere i lavoratori, gli utilizzatori finali delle tecnologie, in tutte le fasi dei progetti 4.0”.
Su 192 imprese (153 grandi e 39 Pmi), l’80% ritiene che Industria 4.0 sia una rivoluzione che porterà cambiamenti radicali con grandi potenzialità ancora da esprimere, solo il 20% la considera soltanto un’evoluzione di quanto già avviato negli anni precedenti. Appena un’azienda su tre, però, ha effettuato una valutazione della propria preparazione digitale (digital readiness), il 54% è interessato a farlo in futuro, mentre il 14% non lo ha fatto e non ha intenzione di farlo.
Lo scenario italiano è dinamico dal punto di vista delle applicazioni 4.0. Quasi 800 quelle censite, in media oltre quattro iniziative per azienda, distribuite nelle tre aree dei processi aziendali: Smart Factory (produzione, logistica, manutenzione, qualità, sicurezza e rispetto norme) col 42% dei progetti, Smart Lifecycle (sviluppo prodotto, gestione del ciclo di vita e gestione dei fornitori) col 33% e Smart Supply Chain (pianificazione dei flussi fisici e finanziari) col 25%. Le tecnologie più diffuse sono quelle dell’ambito Industrial IoT (connettività e acquisizione dei dati, pari al 25%).
Una volta consolidati, i progetti 4.0 portano benefici tangibili soprattutto nella flessibilità e la riduzione dei costi. I principali benefici indicati dalle aziende con progetti attivi da oltre un anno sono la migliore flessibilità di produzione (47%), l’aumento dell’efficienza dell’impianto (38%), la riduzione dei tempi di progettazione (34%) e l’opportunità di sviluppare prodotti innovativi (33%). Le barriere maggiormente percepite dalle imprese allo sviluppo di applicazioni 4.0 sono invece le difficoltà nell’uso della tecnologia e nell’adozione degli standard (59%), le problematiche di natura organizzativa e gestione delle competenze (41%), le difficoltà di change management (20%) e l’insoddisfazione per l’offerta (17%).
Nei prossimi due anni le aziende hanno intenzione di concentrare gli investimenti in Industrial IoT (48%), Industrial Analytics (39%) e Advanced Automation (33%), mentre se si considera un orizzonte di 3-5 anni le priorità diventano Advanced Automation, Cloud e Additive Manufacturing.
Intelligenza Artificiale e Blockchain non sono ancora rilevanti nei piani di investimento dei prossimi 5 anni, con alcune eccezioni per le aziende di grandi dimensioni.
“Ormai quasi tutte le aziende italiane hanno compreso l’urgenza della trasformazione digitale: l’80% ha una chiara percezione della discontinuità rappresentata da Industria 4.0 e che il percorso è solo agli inizi — rileva Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio Industria 4.0 —. Con una media di 4 applicazioni 4.0 per azienda, lo scenario italiano rimane dinamico e ricco di iniziative, ed è degno di nota il fatto che le imprese che hanno realizzato progetti da oltre un anno, quindi ben assestati, dichiarino benefici tangibili in termini di flessibilità e riduzione dei costi. Nello scenario di mercato attuale, soprattutto la flessibilità e la maggiore capacità di controllo appaiono un significativo valore aggiunto degli investimenti Industria 4.0”.
Le imprese che hanno iniziato a utilizzare tecnologie 4.0 nei processi si trovano a gestire l’impatto sull’organizzazione. In maggioranza, le aziende sono attente ai cambiamenti di processo e di flusso (54,2% del campione), a quelli nelle attività e modalità di lavoro del personale (45,3%) e alle competenze tecniche (42,7%). Meno del 20% si è concentrato sull’impatto su ruoli, competenze gestionali e relazionali e sui comportamenti attesi. Quando, però, le imprese si soffermano su aspetti organizzativi, lo fanno fin dalle prime fasi dei progetti: nel 18,8% dei casi in avvio e nel 20,8% durante sviluppo.
Solitamente il promotore delle iniziative 4.0 è un top manager (43,8% del campione) o direttore di produzione o stabilimento (35,4%). La funzione R&D è coinvolta soprattutto nello sviluppo del progetto. La funzione HR, invece, partecipa in pochissimi casi alle varie fasi: solo nel 6,8% è stata coinvolta in tutti gli step, nel 27,1% è solo informata dell’avvio del progetto, nel 23,4% non ha avuto un ruolo in nessuna attività. Anche il coinvolgimento degli operatori è limitato: solo il 7,8% delle aziende li ha coinvolti in tutte le fasi del progetto 4.0, il 25% non ha affidato nessun ruolo. Ma addirittura solo nel 26,6% dei casi gli operatori sono stati informati della strategia 4.0.
“I dati mostrano come poche imprese stiano affrontando la rivoluzione 4.0 con un approccio sistemico che guardi contemporaneamente alle soluzioni tecnologiche e al modello organizzativo, e sono ancora una minoranza quelle che valutano adeguatamente l’impatto delle scelte tecnologiche – afferma Raffaella Cagliano, Professore Ordinario di People Management and Organization, Politecnico di Milano -. Questo potrebbe rappresentare una potenziale zavorra sulla via del percorso 4.0 delle aziende italiane, che può limitare il pieno e rapido raggiungimento dei benefici non solo per le performance aziendali, ma anche per l’arricchimento degli operatori”.
Già il 57% delle imprese si è attivata per identificare le carenze di competenze 4.0 e avviare interventi necessari a colmarle. Circa tre su dieci le giudicano adeguate e altrettante stanno lavorando per migliorarle. La decisione di valutare le competenze vede una forte partecipazione degli imprenditori e top manager e dei responsabili dei progetti 4.0, mentre gli HR manager rimangono sullo sfondo e acquisiscono importanza solo nella fase di implementazione.
L’analisi delle competenze e la formazione sono affidate in maggioranza a risorse interne, rispettivamente nel 61% e 75% dei casi. Le collaborazioni esterne più comuni per la ricerca competenze sono con università, centri di innovazione, ITS, che il 50% delle aziende giudica efficaci. “Nel complesso – commenta Sergio Terzi, Direttore dell’Osservatorio Industria 4.0 -, emerge il quadro di un tessuto industriale più consapevole dell’ampiezza del divario da colmare, deciso nell’attivare le risorse disponibili per formare le competenze più rilevanti, ma in larga misura ancora nella fase di definizione di una chiara strategia sulle competenze di Industria 4.0”.
Sul fronte Pmi, valutate attraverso lo strumento del Digital REadiness Assessment MaturitY model, il controllo è la dimensione strutturalmente più debole, seguita dalla tecnologia, ossia la capacità di impiegare le tecnologie digitali nell’esecuzione e gestione dei processi. La manutenzione è il processo meno sviluppato, con capacità di gestione debole o assente in alcuni casi.
“All’inizio del percorso verso Industria 4.0, le PMI danno priorità a sistemi e tecnologie che abilitano l’innovazione, di prodotto o di processo, che le rende competitive sul mercato – commenta Marco Macchi, Direttore dell’Osservatorio Industria 4.0 -. È in ogni caso fondamentale investire sul capitale umano, inserendo competenze tecniche e manageriali per costruire un ecosistema di relazioni con partner a supporto dello sviluppo della digitalizzazione; l’imprenditore e il management della PMI rimangono il fulcro per la governance dell’innovazione”.