L'INTERVISTA

Tassa sui robot, Tamburrano (M5S): “Aprire dibattito su nuove povertà”

Il parlamentare europeo: “Sarebbe utile per finanziare il reddito di cittadinanza e compensare la disoccupazione indotta dal progresso tecnologico. Ma non è detto sia l’unica ricetta: l’importante è non negare il problema e discuterne”

Pubblicato il 23 Feb 2017

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“Da qui in avanti l’importante è che non si neghi il problema, ma si cominci a ragionare su come risolverlo. Noi siamo favorevoli alla tassa sui robot e all’istituzione del reddito di cittadinanza, ma non è detto che sia l’unica ricetta possibile. In ogni caso sarà essenziale non farsi trovare impreparati dal profondo mutamento che sta interessando il mondo del lavoro, e non essere costretti a intervenire quando saremo travolti dal cambiamento innescato dalle nuove tecnologie”. E’ questa la posizione di Dario Tamburrano, parlamentare europeo del Movimento cinque stelle e membro della commissione Industria, ricerca ed energia, sulla proposta avanzata da Bill Gates nei giorni scorsi durante la conferenza sulla sicurezza di Monaco, in cui il fondatore di Microsoft ha proposto l’istituzione di una tassa sui robot che vanno a sostituire l’impiego delle persone.

Tamburrano, a cosa servirebbe istituire la tassa sui robot?

In questi anni abbiamo affrontato il problema della povertà che deriva dalla crisi economica. Ma la proposta di Bill Gates, che interviene da ultimo su un dibattito che negli Stati Uniti si è innescato da tempo, riguarda uno scenario ancora più ampio, quello della disoccupazione indotta dal progresso tecnologico esponenziale, che inevitabilmente porterà alla perdita di un gran numero di posti di lavoro. Come movimento 5 stelle proponiamo il reddito di cittadinanza per contrastare la povertà, e siamo tendenzialmente favorevoli alla proposta della tassa sui robot, che ovviamente dovrà essere bilanciata con grande attenzione. E sono molto contento che se ne inizi a parlare anche in Italia, dal momento che a molti decisori politici questo tema non è conosciuto. Siamo di fronte a una situazione di cambiamento strutturale e generale della produzione, dell’economia e della società. Non ci stiamo rendendo conto che la disoccupazione tecnologica è già in atto, dal momento che le macchinette del caffè hanno tolto lavoro ai baristi, ma potremmo fare lo stesso discorso sui casellanti o sui commessi delle librerie.

Questo però è sempre successo con l’innovazione tecnologica. In cosa è diverso il cambiamento in atto oggi?

La disoccupazione, che molti impropriamente attribuiscono all’immigrazione, è in realtà mossa in termini più generali dalla combinazione tra globalizzazione e delocalizzazione. Ma se pensiamo ai sistemi cyberfisici, ci rendiamo conto che questo processo andrà ancora oltre. Unire un software a un supporto fisico è il primo passo ulteriore, per poi arrivare ai software evoluti dell’intelligenza artificiale e dell’autoapprendimento, con le macchine che saranno in grado di modificare se stesse e il proprio comportamento a livello virtuale e materiale grazie alla sensoristica e alla connessione in rete. L’autoapprendimento è il fattore che rende il presente completamente diverso dal passato, perché mentre prima gli uomini erano necessari, ma con l’autoapprendimento e la versatilità il meccanismo diventa autosufficiente, e le poche figure tecniche necessarie non potranno mai compensare i posti di lavoro che andranno perduti.

Ma “tassare la produttività” non rischia, soprattutto in Italia dove si sta iniziando a investire su Industria 4.0, di far perdere al paese il treno dell’innovazione disincentivando gli investimenti?

Siamo di fronte a un circolo vizioso che va regolamentato, non si può negare il problema ma non si possono nemmeno negare le opportunità: il sistema per l’intelligenza artificiale Watson di Ibm, ad esempio, arriva a fare diagnosi, in campo medico, più accurate rispetto a quelle fatte da medici in carne e ossa, e questa è una grande opportunità che dovremo saper sfruttare. Credo che su questi temi non si debba essere talebani, ma saper utilizzare il buon senso. Il legislatore oggi deve saper essere un po’ futurologo, altrimenti il rischio è che si arrivi sempre in ritardo: i processi legislativi sono troppo lenti rispetto alla velocità del cambiamento, e non possiamo consentire che il disallineamento diventi sempre più grande. Si deve aprire una discussione pubblica, e dare gli strumenti ai cittadini di essere informati, non spaventati. La sfida sarà di prendere il meglio possibile dalle nuove tecnologie, evitando i contraccolpi più disastrosi. Dobbiamo evitare i rischi della tassazione precoce o eccessiva, e dobbiamo in prospettiva evitare anche la mancanza di tassazione.

E se dovesse sbilanciarsi in un previsione da futurologo qual è il problema che è in grado di anticipare e su cui non si è ancora puntata l’attenzione?

Una delle prospettive più preoccupanti, secondo me, è che anche se il reddito di cittadinanza venisse istituito domani e funzionasse, probabilmente non sarebbe risolutivo. Perché il lavoro è nel nostro Dna, ce lo ricorda anche la nostra costituzione, quando dice che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Il reddito di cittadinanza sarà importante, ma non risolverà il problema esistenziale, perché potrebbe essere estremamente difficile abituarsi a una vita senza il lavoro per come è stato considerato finora. E alle contromisure dovremmo cominciare a pensare fin da oggi.

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