La digitalizzazione non è un processo tutto rose e fiori e in un Paese sempre più “connesso” bisogna tener conto del rischio isolamento a cui è sottoposto chi non accede a Internet. Questo è un tema su cui, rivela il rapporto Agi-Censis “Uomini, robot e tasse: il dilemma digitale” presentato oggi a Roma in occasione dell’Internet Day, gli italiani mostrano una particolare sensibilità.
Molti cittadini si sentono “fuori Rete”, ossia realmente svantaggiata rispetto a chi è in condizioni di connettersi frequentemente e agevolmente. Uno svantaggio che viene ricondotto all’accesso alle informazioni, ai servizi ed alle minori opportunità di relazione con gli altri. E che è ben rappresentato dal fatto che i cittadini più esposti al digital divide ricorrono ad amici, parenti o conoscenti (67,6%) o ad intermediari specializzati quali patronati o Caf (23,5%) quando devono usufruire di servizi online.
Il rapporto, presentato durante l’evento organizzato dall’Agi con il patrocinio di Confindustria Digitale e alla presenza del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, parla di un processo di “solidarietà intergenerazionale”. Chi è in grado di utilizzare i servizi digitali aiuta chi, per l’età avanzata o per difficoltà economiche e culturali, non riesce a rimanere al passo con le innovazioni. Un supporto di cui, con la maggiore diffusione dei servizi accessibili solo via web, ci sarà sempre più bisogno. Soprattutto alla luce di un 23% di persone che, di fronte a questo scenario, affermano di non sapere assolutamente come risolvere questi problemi.
Gli italiani dunque, da un lato, denunciano il ritardo del Paese, e dall’altro, temono l’allargamento dei divari e i rischi sul fronte occupazionale. Le tecnologie digitali sono ritenute fondamentali sul fronte del monitoraggio della vita urbana e della sicurezza, ma viene sottovalutato l’impatto positivo dell’automazione e della robotica sui processi industriali. Per il 10% degli italiani parlare di automazione e di robotica significa proiettarsi in un libro di Isaac Asimov o tra gli androidi di Star Wars: fantascienza più che attualità o futuro prossimo. E solo il 19% degli italiani associa in prima istanza l’automazione e la robotica alla possibilità di ottimizzare i processi produttivi delle aziende aumentandone la competitività e la produzione di valore aggiunto. Il concetto di industria 4.0, di cui Calenda ha parlato durante l’evento di Roma, e i suoi effetti concreti non sembrano dunque riuscire a far breccia nella sensibilità del Paese.
A prescindere dalla piena coscienza della materia, l’Italia risulta divisa sul tema della tassazione dei robot tornato recentemente in auge con la posizione favorevole di Bill Gates. Per il 42,1% degli italiani la penetrazione dell’automazione e della robotica nei processi produttivi deve essere in qualche modo regolata perché, sostituendo il lavoro umano, finiranno per determinare una riduzione del gettito fiscale complessivo. Una percentuale di fatto identica (il 41,6%) la pensa però diversamente: l’evoluzione scientifica e tecnologica seguirà il suo corso e non ha senso pensare di introdurre meccanismi che possano arginarlo o limitarlo. Completa il quadro delle opinioni la posizione, minoritaria, di chi ritiene che l’introduzione della robotica sia da incentivare come elemento di sostegno alla competitività delle imprese italiane (16,3%).
Sempre in tema di fisco hi-tech c’è la web tax, che ciclicamente compare fra le proposte della politica per mettere soldi in cassa. Più della metà della popolazione italiana (55%) concorda nel ritenere opportuna una legge in grado di tassare i profitti generati in Italia dai grandi soggetti web (Google, Facebook, Ebay, Amazon, AirBnB, ecc.) con sede legale all’estero in paesi a fiscalità privilegiata. La volontà del governo italiano di proporre un simile provvedimento agli altri Paesi Ue durante il G7 delle Finanze in programma a Bari dall’11 al 13 maggio 2017 gode dunque dei consensi della maggior parte degli italiani. Consapevolmente, un ulteriore 27,6% degli intervistati ritiene che la questione non possa o non vada affrontata a livello nazionale ma che vada demandata all’Unione Europea. Si rileva inoltre la posizione minoritaria nel Paese (17%) ma maggiormente sentita dalle giovani generazioni (27%), di chi pensa che una legge del genere possa rivelarsi dannosa riverberandosi sui costi dei servizi web per l’utente finale.
Un ulteriore preoccupazione più generale viene dalla penetrazione dell’innovazione nei processi produttivi. Il 38% degli italiani ritiene che processi di automazione sempre più spinti e pervasivi determineranno un saldo negativo di posti di lavoro. Anche in questo caso le maggiori preoccupazioni sono riscontrabili tra chi non dispone di titoli di studio elevati (44%). Per contro, il 33% degli intervistati ritiene che le opportunità aumenteranno in uno scenario di nuovi lavori ancora per gran parte inesplorato. Completano il quadro coloro (il 28% del totale) che ritengono che i posti di lavoro nel complesso non varieranno in termini numerici. Il cambiamento riguarderà semmai il tipo di lavoro che saremo chiamati a svolgere.
L’innovazione spaventa in ogni caso i più deboli. I profili sociali più vulnerabili, in particolare coloro che vivono in famiglie di basso livello socio-economico o che sono privi di titoli di studio superiori (diploma o laurea) temono l’innovazione: il 66,7% e il 59,2% rispettivamente, sono infatti convinti che i processi innovativi finiranno per ampliare la forbice tra i ceti sociali.