Fondi ad hoc per la formazio e digitale delle donne. “Nel decreto legge di agosto ‘abbiamo voluto istituire un fondo per finanziare, attraverso bandi, corsi di formazione per le donne, specialmente in ambito finanziario e digitale”. Lo scrive il ministro per le Pari Opportunità, Elena Bonetti, su Facebook.
Con queste risorse – si tratta di 3 milioni – ”interveniamo specificamente a favorire l’acquisizione di competenze per quelle donne che, trovandosi fuori dal circuito lavorativo, sono escluse anche dalle opportunità di aggiornamento professionale e vedono ulteriormente ridursi le possibilità di scelta alla loro portata”. Come il microcredito per le donne vittime di violenza, anche i corsi ”saranno finalizzati a rafforzare l’autonomia e la libertà di scelta delle donne, offrendo strumenti per l’acquisizione di una autonomia economica”, afferma Bonetti. ”È un altro passo per rimuovere le cause della violenza economica, è un passo per donne più libere, anche dagli stereotipi”.
”Sono molte, troppe, le donne ancora fuori dal mondo del lavoro e tante in questi mesi ne sono uscite loro malgrado”, sottolinea. ”Non possiamo né vogliamo permettere la loro esclusione sociale”. ”Non è accettabile che per una donna lo stare a casa diventi una scelta obbligata per mancanza di opportunità di lavoro”, afferma Bonetti. ”Non è accettabile che questo la porti a non avere accesso a opportunità di qualificazione e aggiornamento, in un vortice senza fine. Al contrario, serve investire strutturalmente in occasioni di qualificazione e di empowerment, che vuol dire garantire alle donne libertà di scegliere e accompagnarle ad accedere a opportunità di lavoro”.
Il report del Wef
Allarme gender gap per il World economic forum: nessun passo in avanti nella partecipazione delle donne al mondo del lavoro, mentre l’accesso delle donne all’istruzione e all’assistenza sanitaria e la partecipazione alla vita politica risultano in calo su scala mondiale. Di questo passo occorreranno 108 anni per chiudere il divario, afferma il nuovo Global gender gap report del Wef.
Nei parametri education, health e politics il gender gap si è allargato; qualche progresso si registra nell’allineamento degli stipendi delle donne a quelli degli uomini e aumentano le professioni in cui le donne sono rappresentate: in un anno (21018 su 2017) si registra così un miglioramento nella voce “economic opportunity”. Ma il progresso è lieve e le donne sono partite con uno svantaggio tale che serviranno 202 anni per ottenere la parità sul posto di lavoro, denuncia il report.
Il numero di donne che lavora resta inoltre molto inferiore a quello degli
uomini occupati e l’era dell’automazione sta esacerbando il trend perché, si legge nel report, impatta soprattutto i lavori tradizionalmente svolti dalle donne. Allo stesso tempo le donne sono poco rappresentate nelle professioni che richiedono una preparazione tecnico-scientifica (le cosiddette materie Stem, scienze, tecnologia, ingegneria e matematica).
Quest’anno per la prima volta il report ha incluso un’analisi, condotta insieme a LinkedIn, del gender gap che si sta creando anche nelle professioni che richiedono competenze nell’intelligenza artificiale: le donne sono solo il 22% della forza lavoro nell’AI. Questo divario di talenti è tre volte più ampio che in ogni altra industria. Raramente nell’AI le donne
ricoprono ruoli senior: si occupano prevalentemente di analisi dei dati, ricerca o insegnamento, mentre agli uomini vengono affidati compiti di sviluppo software, direttori dell’It e top management.
Poiché andiamo verso un’industria sempre più permeata di AI in ogni suo settore, il rischio è che il gender gap si aggravi, sottolinea lo studio, allargandosi ai segmenti manufacturing, hardware, networking, software, servizi It, sanità, istruzione.
Le donne sono sfavorite anche dalla mancanza di strumenti atti ad aiutarle a entrare o tornare nel mondo del lavoro, come asili nido o assistenza per gli anziani, visto che spesso la cura dei figli e dei familiari pesa sulle donne. Gli investimenti in istruzione e skill digitali devono tener conto di questi elementi o saranno vani, ammonisce lo studio.
Nella usuale classifica dei paesi più o meno virtuosi in termini di gender gap, l’Islanda figura al primo posto per il decimo anno consecutivo; nella top ten seguono Norvegia, Svezia, Finlandia, Nicaragua, Ruanda, Nuova Zelanda, Filippine, Irlanda, Namibia.
paesi dell’Europa occidentale sono fuori dai primi posti, ma in media ben posizionati: la Francia è 12ma, la Germania è 14ma, la Gran Bretagna 15ma. Ai ritmi attuali di miglioramento, alla nostra macro-regione “basteranno” 61 anni per chiudere il gender gap. Al Nord America ne serviranno invece 165: il Canada è 16mo in classifica, ma gli Usa sono in 51ma posizione.
La Cina è la numero 103 mondiale, il Giappone è la 110, l’Arabia Saudita è al 141mo posto. Alla macro-area Asia dell’est e Pacifico serviranno 171 anni per chiudere il divario.