I sindacati hanno affilato le armi sul Green Pass. Arroccandosi su posizioni da azzeccarbugli, intrise di burocratese e di ideologismi vecchio stampo. È questa la dura realtà. Forse c’era da aspettarselo considerata la perdita di forza e valore del sindacato ormai da più di un decennio, o forse no considerato che il tema del lavoro è uno dei più critici in questa dura crisi innescata dalla pandemia che rischia di dover ancora dimostrare gli effetti nefasti sull’economia reale.
È vero c’è un Recovery Plan, ci sono soldi, tanti, tantissimi. L’economia, però, ha imboccato una strada che profuma sì di ripresa ma non per tutti. È la strada della trasformazione green e soprattutto della rivoluzione digitale, quella che ha scardinato da tempo le regole del gioco e del mercato, che mette con le spalle al muro chi non è al passo coi tempi, che non contempla ritardi.
L’Italia ha molta strada da recuperare sul fronte infrastrutturale – quello delle reti ultrabroadband e delle piattaforme digitali attraverso cui erogare servizi innovativi – e soprattutto su quello cosiddetto “culturale”. Se sul primo fronte stiamo risalendo la china è sulla questione delle “skills” – parametro sempre più importante nelle valutazioni internazionali – che continuiamo a piazzarci in coda. Un posizionamento che dovrebbe far saltare sulla sedia proprio i sindacati: senza competenze adeguate il gap fra la domanda e offerta di lavoro aumenterà irrimediabilmente e senza il reskill di molte figure professionali il rischio è che per molti degli attuali lavoratori il capolinea non sia lontano.
Al posto di ragionare e concentrarsi su quale contributo dare alla (ri)formazione delle risorse all’interno delle aziende affinché non si perdano posti di lavoro e su come creare lavoro di “qualità” per migliaia di giovani, molti laureati mai occupati o disoccupati – l’unica battaglia che si è vista di recente è quella sui diritti dei rider – i sindacati cosa fanno? Alzano le barricate sul Green Pass, un certificato, un lasciapassare il cui obiettivo – lo hanno capito tutti – è non certo quello di creare discriminazioni ma di tutelare la salute collettiva spingendo la maggior parte della popolazione a vaccinarsi a garanzia della salute di tutti. La tutela della salute e della sicurezza soprattutto all’interno delle aziende – quindi mondo del lavoro – dovrebbe essere puntata al petto delle sigle sindacali. E invece se l’è puntata al petto Confindustria – il “nemico” per antonomasia -purtroppo con scarsi concreti risultati finora, viste le battaglie delle forze politiche “antagoniste”, appoggiate con loro sorpresa e nostro malgrado, proprio dai sindacati.
Il tutto mentre il mondo corre, mentre gran parte dei fondi del Recovery Plan sarà destinata alla digitalizzazione, mentre si dibatte di banda larga e di cloud, di servizi innovativi e di robotica. A onor del vero all’interno delle sigle sindacali ci sono profondi conoscitori di queste materie, ma hanno ancora poca voce, poco riconoscimento, quasi spaventa quel loro atteggiamento considerato “troppo” innovatore. Che si metta in pericolo la tenuta stessa del sindacato come lo conosciamo oggi? Non è meglio arroccarsi sulle questioni di lana caprina e sulla burocrazia, prendere tempo e poi campa cavallo che l’erba cresce?