“Il tema rilevante rispetto al futuro del lavoro è l’engagement rispetto al cambiamento e all’innovazione. Lo smart working è la misura dell’engagement. È la palestra per formare i manager del futuro”: Mariano Corso, docente del Politecnico di Milano nonché co-fondatore e direttore scientifico di P4I (Digital360 Group), dal palco dell’EY Digital Summit di Capri fa il punto sulla trasformazione e organizzazione del lavoro nella digital era.
“L’ansia maggiore oggi è veder sparire le proprie professionalità e veder messe in discussione le proprie competenze. Lo shift è veloce e sta spiazzando le persone. Ma c’è una professionalità che dovrà più delle altre adeguarsi all’evoluzione: quella manageriale”, ha detto Corso evidenziando che Il tema della digital disruption è questione di velocità più che di comprensione del fenomeno.
“Progetti e investimenti crescono in tutti i settori, la crescita è a due cifre. Ma troppi progetti falliscono perché mancano le condizioni per il successo”. Un progetto su tre fallisce, due volte su tre dunque “buttiamo via soldi”, ha evidenziato Corso sgombrando il campo dalla “retorica del fallimento”: “E’ bene fallire, ma non si può fallire sempre”. La chiave sono le persone: “Molto dall’engagement delle persone. Chi presta particolare attenzione su questo aspetto il tasso di successo è di 8 su 10”, dice il docente del Polimi sottolineando però che “è necessario trovare un equilibrio fra l’orientamento strategico e la diffusione di competenze e attitudini”. Gli obiettivi di business devono dunque fare il paio con una forte attenzione alle skill digitali ma anche e soprattutto alle attitudini “soft”.
“Lo smart working deve servire proprio a rompere i paradigmi della gerarchia tradizionale e della standardizzazione andando verso una valorizzazione dei talenti personali. La trasformazione digitale può avere successo solo se accompagnata da un approccio autenticamente umano”, conclude Corso.
Lavoro “flessibile”, a che punto siamo?
Il 56% delle grandi aziende ha messo in piedi progetti strutturati di lavoro flessibile. Il numero di lavoratori interessati è aumentato del 14% dal 2016. Il 50% dei millennial entrerà nella forza lavoro entro il 2020, e questo imporrà un’accelerazione del tasso di trasformazione delle imprese. E mentre una quota sempre più rilevante della forza lavoro invecchia, aumenteranno le esigenze di conciliazione e di adozione di forme di prestazione/affiancamento lavorativo non standard. Queste le principali evidenze emerse in occasione del workshop “Trasformazione e organizzazione del lavoro nella digital era” organizzato durante l’EY Capri Digital Summit.
Più lavoro con il digitale
I timori sulla mancanza di lavoro nell’economia digitale per ora si sono rivelati infondati, è emerso dal workshop: contrariamente alle previsioni pessimistiche, tutto l’occidente sta vivendo un vero e proprio jobs boom con tassi di occupazione nei Paesi Ocse che stanno crescendo a ritmi mai così alti. E anche in Italia il tasso di occupazione ha raggiunto livelli record e la disoccupazione è scesa sotto il 10% per la prima volta dal 2011 – confermando che il lavoro umano non sparirà a causa del digitale.
Smart working, resta il problema adoption
Se è vero però che gli strumenti legislativi messi in campo negli ultimi anni consentono di accompagnare i nuovi processi – legge sul lavoro agile, staffetta generazionale, norme sulla vigilanza – allo stesso tempo permane un importante problema di adoption: se più del 50% delle grandi imprese ha strutturato progetti di lavoro flessibile, il dato scende al 24% per le Pmi e all’8% per la Pubblica Amministrazione. La PA rappresenta solo il 3,6% dei datori di lavoro che hanno avviato un periodo di smart working. Sul totale dei lavoratori che hanno usufruito del lavoro agile, i dipendenti pubblici rappresentano solo lo 0,7%, il 72% dei quali sono donne.
Analfabetismo digitale ancora troppo elevato
Esiste inoltre un tema complessivo di alfabetizzazione digitale nel Paese: l’ultimo Skills Outlook dell’Ocse mostra che solo il 21% della popolazione tra i 16 e i 65 anni possiede un livello di alfabetizzazione digitale soddisfacente, e solo il 36,6% è in grado di utilizzare internet in modo complesso e diversificato, contro una media Ocse del 58,3%. Ancora più allarmante il fatto che quasi un disoccupato su 5 dichiari di non aver mai utilizzato internet.
Nuove patologie da isolamento digitale
Esiste infine un tema, per ora poco dibattuto, che riguarda la diffusione delle nuove patologie da isolamento digitale: secondo elaborazioni EY da dati Inail, le malattie del sistema nervoso dei lavoratori sono aumentate sia in termini percentuali (il 5% nell’ultimo anno rilevato) che in termini di incidenza sul totale. Anche il cosiddetto hot desking che molte aziende stanno adottando si sta rivelando un potenziale veicolo di alienazione, ad esempio, a causa dei rumori dell’ambiente circostante si tende ad isolarsi e a ridurre la collaborazione ed i rapporti face-to-face. Quindi molti stanno già cercando di correre ai ripari creando ambienti più salubri e maggiori spazi per la socialità.