Lo smart working non può essere senza regole. Al di fuori dell’orario di lavoro, va pienamente garantito il diritto alla disconnessione, ovvero a spegnere i dispositivi digitali senza che ciò comporti alcuna penalizzazione per il lavoratore in termini di carriera e remunerazione. Lo ha affermato l’Employment Ccommittee del Parlamento europeo in una risoluzione adottata con 31 voti favorevoli, 6 contrari e 18 astenuti.
Il documento della Commissione lavoro e affari sociali dell’Europarlamento va oltre: il diritto alla disconnessione dovrebbe essere considerato un “diritto fondamentale”. Siccome non è attualmente previsto dalle leggi Ue,gli europarlamentari chiedono alla Commissione Ue di proporre una Direttiva comunitaria sul diritto a disconnettersi (Eu Directive on the Right to disconnect).
Via libera a nuovi accordi sindacali
Il lavoro remoto che dà flessibilità ad aziende e dipendenti e permette di proseguire l’attività anche nelle restrizioni agli spostamenti imposte dalla pandemia di Covid-19 non deve costringere i lavoratori a una connessione senza soste con la propria azienda, i manager e i colleghi. Per gli eurodeputati i paesi dell’Unione europea dovrebbero assicurare che i lavoratori siano in grado di esercitare a pieno il loro diritto alla disconnessione, o right to disconnect, compreso tramite accordi tra sindacati e imprese. Questo diritto viene definito come “vitale per proteggere la salute dei lavoratori”.
La cultura dell’ “always on” e l’idea diffusa che i lavoratori debbano essere raggiungibile in ogni momento e ovunque si trovino possono produrre un impatto negativo sul bilanciamento tra vita personale e lavorativa (work-life balance), sulla salute fisica e mentale e sul benessere dei lavoratori, si legge nella risoluzione della Commissione occupazione.
La risoluzione dell‘Employment committee non ha valore di legge. Sarà votata però nella riunione plenaria dell’Europarlamento a gennio 2021 e, se sarà approvata, verrà portata alla Commissione Ue e ai paesi-membro affinché sia attuata come parte delle prossime decisioni normative.
Il dibattito in Italia
Con il diffuso ricorso delle organizzazioni, pubbliche e private, allo smart working, l’opportunità di riconoscere un diritto alla disconnessione è stata al centro delle attività della Commissione occupazione del Parlamento europeo fin da settembre. La possibilità di “staccare” dallo smart working e i sempre più sfumati confini tra lavoro e vita privata sono stati al centro di numerose discussioni. Gli europarlamentari hanno affrontato anche il tema degli standard comuni per assicurare la protezione dei lavoratori del mondo digitale.
Anche in Italia si è acceso il dibattito sui nuovi diritti del mondo del lavoro digitalizzato. Il ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Giuseppe Provenzano, ha sottolineato che “Dobbiamo pensare a un nuovo Statuto dei lavoratori, un codice del lavoro molto semplificato che estenda tutele ai lavoratori che oggi non ne hanno. C’è anche il tema di come regolare lo smart working, il diritto alla disconnessione e la conciliazione dei tempi di vita”.
Già nella legge 81 del 2017 si parla di diritto alla disconnessione, rimandando però agli accordi individuali o collettivi in azienda l’adozione di “misure tecniche e organizzative necessarie” ad assicurarlo.
Nei mesi di emergenza legata alla pandemia, il ricorso massivo e improvviso a modalità di lavoro agile ha aperto nuovi fronti da presidiare, come quelle del benessere del lavoratore e della tutela dei dati. Secondo un report stilato da Linkedin lavorare da casa, per il 48% del campione analizzato, si è tradotto in un surplus nel carico di lavoro. Quasi un italiano su due ha lavorato almeno un’ora in più al giorno.
Un quadro simile è stato delineato dallo studio Cgil-Fondazione Di Vittorio che rileva, anch’esso, un rischio burnout legato alla mancanza di regole certe sulla disconnessione. “Nei nuovi contratti vanno affrontate tutte le questioni e i problemi che sono emersi sull’applicazione dello smart working, dalla formazione al diritto di disconnessione”, ha affermato il segretario generale della Cgil Maurizio Landini.