Il ruolo dell’AI come driver di trasformazione del lavoro sarà al centro della presidenza italiana al G7. Lo ha annunciato la ministra del Lavoro e delle politiche sociali, Marina Calderone, intervenendo al Consiglio Ue a Lussemburgo.
“L’impatto dell’intelligenza artificiale sui nostri mercati del lavoro sarà al centro delle iniziative della presidenza italiana del G7 il prossimo anno – ha detto Calderone – Con la Direttiva Ue sul lavoro su piattaforme digitali possiamo fare passi in avanti nella regolazione dell’uso degli algoritmi. Tuttavia è necessario continuare a monitorare con attenzione lo sviluppo di sistemi automatizzati in relazione alla qualità delle condizioni di lavoro e al benessere dei lavoratori. L’obiettivo, più in generale, deve essere quello di assicurare che queste tecnologie rispettino barriere etiche”.
“La trasformazione digitale – ha aggiunto – offre grandi opportunità per accrescere la competitività delle nostre economie e migliorare le condizioni di lavoro e il benessere dei lavoratori. Eppure, non dobbiamo ignorare i potenziali rischi nei luoghi di lavoro: disintermediazione dei rapporti gerarchici, violazione del diritto alla privacy, discriminazioni indotte da cattiva programmazione delle macchine, fino al rischio di burn out legato a una richiesta eccessiva di prestazioni non mediata dalla sensibilità umana”.
Lavoro da piattaforma, la direttiva Ue
La Commissione europea ha presentato la proposta di direttiva sul lavoro da piattafor,a nel dicembre 2021 e il Consiglio ha adottato la sua posizione in materia il 12 giugno 2023.
La direttiva contribuisce a determinare correttamente la situazione occupazionale delle persone che lavorano mediante piattaforme digitali e soprattutto stabilisce le prime norme dell’UE relative all’uso dell’intelligenza artificiale (IA) sul luogo di lavoro
La Ue dunque mira a facilitare l’accesso delle persone che lavorano mediante piattaforme di lavoro digitali alla situazione occupazionale legale che corrisponde alle loro modalità di lavoro effettive.
Secondo la direttiva, si presume che una persona sia un lavoratore se tre dei sette criteri indicati di seguito sono soddisfatti.
I criteri previsti dalla proposta di direttiva sono i seguenti:
La piattaforma di lavoro digitale
- determina i limiti massimi per il livello di retribuzione
- impone alla persona di rispettare determinate regole per quanto riguarda l’aspetto esteriore, il comportamento nei confronti del destinatario del servizio o l’esecuzione del lavoro
- supervisiona l’esecuzione del lavoro, anche con mezzi elettronici
- limita la libertà di scegliere l’orario di lavoro o i periodi di assenza
- limita la libertà di accettare o rifiutare incarichi
- limita la libertà di ricorrere a subappaltatori o sostituti
- limita la possibilità di costruire una propria clientela o di svolgere lavori per terzi
L’applicazione della presunzione legale comporta per la piattaforma di lavoro digitale l’obbligo di dimostrare l’assenza di un rapporto di lavoro nell’ambito di un procedimento in cui è in gioco la corretta situazione occupazionale della persona che lavora per la piattaforma.
Una volta accertato, nell’ambito di detto procedimento, che una persona ha un rapporto di lavoro, quest’ultima dovrebbe godere dei diritti sociali e dei lavoratori derivanti da tale rapporto di lavoro che potrebbero essere, a seconda dei sistemi nazionali:
- salari minimi
- contrattazione collettiva
- orario di lavoro e protezione della salute
- ferie retribuite
- migliore accesso alla protezione contro gli infortuni sul lavoro
- prestazioni di disoccupazione e di malattia
- pensioni di vecchiaia di tipo contributivo
Gestione algoritmica
Le piattaforme di lavoro digitali utilizzano algoritmi per la gestione delle risorse umane. Tali sistemi sono utilizzati per organizzare e gestire le persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali tramite le loro applicazioni o siti web. Le persone in questione spesso non dispongono di informazioni sul funzionamento degli algoritmi e sul modo in cui sono adottate le decisioni.
La direttiva si propone di:
- aumentare la trasparenza per quanto riguarda l’uso degli algoritmi da parte delle piattaforme di lavoro digitali
- garantire il monitoraggio umano delle condizioni di lavoro
- concedere il diritto di contestare le decisioni automatizzate (sia ai lavoratori subordinati che ai lavoratori realmente autonomi)
Applicazione, trasparenza e tracciabilità
Spesso le autorità nazionali faticano ad accedere ai dati sulle piattaforme digitali e sulle persone che lavorano tramite le stesse. Ciò è ancora più difficile quando le piattaforme operano in diversi Stati membri, il che rende poco chiaro dove e da chi viene svolto il lavoro mediante piattaforma digitale.
La direttiva mira ad aumentare la trasparenza delle piattaforme digitali, precisando gli obblighi esistenti di dichiarare il lavoro alle autorità nazionali e chiedendo alle piattaforme di mettere a disposizione delle autorità nazionali informazioni chiave sulle loro attività e sulle persone che lavorano tramite le stesse.
Lavoro, cosa pensano gli italiani dell’AI
Il tema dell’impatto delle tecnologie 4.0 sul mondo del lavoro preoccupa i lavoratori italiani. Secondo una ricerca condotta da Ipsos per conto di Kelly, il 53% degli italiani intervistati è preoccupato che l’Intelligenza Artificiale possa influire sugli stipendi in quanto, per molti potrebbe ridurre le ore lavorate con una conseguente diminuzione dello stipendio; c’è però anche una quota di cittadini che prevede, a parità di retribuzione, un aumento delle ore di lavoro – a causa della necessità di supervisionare le attività svolte dall’AI.
Un punto di vista, quindi, che gli italiani hanno sull’AI non particolarmente idilliaco quello che si evince dallo studio che mette, inoltre, in evidenza come il 68% del campione intervistato sia molto/abbastanza d’accordo con il fatto che l’AI causerà una riduzione del personale nelle aziende, mentre il 55% molto/abbastanza d’accordo che causerà addirittura la chiusura di attività e che a beneficiare dell’AI siano soprattutto le aziende più grandi e strutturate a discapito di quelle più piccole (71% molto/abbastanza d’accordo).
Il lato positivo dell’AI
D’altro canto, gli italiani vedono anche risvolti positivi dall’introduzione dell’AI in ambito lavorativo. In particolare, il 63% è molto/abbastanza d’accordo che l’Intelligenza Artificiale porterà allo sviluppo di nuove professioni e professionalità che debbano gestire e supervisionare le attività che verranno poi svolte dall’AI, ma anche che ci sarà più tempo da dedicare alle mansioni complesse mentre le attività più ripetitive potranno essere gestite tramite l’Intelligenza Artificiale (71% molto/abb. d’accordo), così come ci sarà più efficienza e produttività (65% molto/abb.d’accordo) e maggiore sicurezza per le mansioni più rischiose (61% molto/abb. d’accordo). Emerge, inoltre, che il 73% degli italiani intervistati si ritiene molto/abb. d’accordo che le aziende dovranno necessariamente provvedere a una adeguata formazione dei dipendenti.
Il nodo regolatorio
Un altro aspetto interessante che lo studio Ipsos/Kelly ha rivelato riguarda l’impatto dell’AI nella socialità sul posto di lavoro. In particolare, se per 4 italiani su 10 l’Intelligenza Artificiale porterà a un maggiore isolamento dai colleghi poiché non ci sarà più bisogno del confronto umano, un’analoga quota ritiene che, invece, l’AI potrà essere d’aiuto nel connettere persone che parlano lingue diverse, così come chi lavora in diverse sedi/uffici. Concorde, con quasi l’80% del campione, sull’auspicio che l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale venga regolamentato dal Governo di ciascun Paese all’interno di un quadro legislativo internazionale che imponga il rispetto tassativo delle normative.