LO SCENARIO

Intelligenza artificiale, nelle aziende italiane scarseggiano i dirigenti qualificati



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È quanto emerge dall’Osservatorio 4.Manager. Il presidente Cuzzilla: “Investimenti in formazione ancora insufficienti rispetto alla portata della trasformazione in atto”. Tra i profili più richiesti si fa strada la figura dell’AI Strategy Director

Pubblicato il 14 ott 2024



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Quasi 10.000 imprese italiane oggi hanno già adottato tecnologie di AI, con un balzo di circa 30% rispetto all’anno precedente: la domanda di competenze è aumentata del 157% in 5 anni. Tuttavia, dietro questo progresso si celano divari e ostacoli significativi che richiedono investimenti non solo in tecnologie, ma soprattutto nelle skill manageriali indispensabili per guidare l’innovazione.

Il dato emerge dal VI rapporto dell’Osservatorio di 4.Manager Intelligenza Artificiale.Cambiamento culturale e organizzativo per imprese e manager: nuove traiettorie della managerialità presentato in occasione dell’apertura dell’anno accademico della Pontificia Università Antonianum.

“Sebbene l’intelligenza artificiale stia rivoluzionando il mondo dell’impresa, il vero valore continua a risiedere nell’intelligenza umana” afferma Stefano Cuzzilla, Presidente di 4.Manager e Federmanager. “I nostri sistemi produttivi sono miniere di saperi e abilità, in gran parte ancora inesplorate dall’AI, che aspettano di essere valorizzate. Però, a oggi, più della metà delle aziende identifica la mancanza di competenze digitali come il principale ostacolo all’adozione di queste tecnologie, e questo è un campanello d’allarme che non possiamo ignorare. L’investimento in formazione, purtroppo, è ancora insufficiente rispetto alla portata della trasformazione in atto: le figure manageriali sono riconosciute come cruciali per gestire la nuova complessità, ma nell’ultimo anno meno della metà dei dirigenti ha avuto accesso a corsi di aggiornamento su questi temi. Se, come credo, deve essere l’intelligenza umana a guidare l’AI e non viceversa, è necessario un cambio di passo concreto, per rimettere al centro la persona e assicurarci un progresso sostenibile”.

AI in espansione con sfide disomogenee

I dati del Rapporto, raccolti attraverso una combinazione di indagini campionarie e fonti istituzionali come Istat e Eurostat, rivelano che a settembre 2024 circa 10.000 imprese italiane utilizzano o integrano l’AI nelle proprie linee di prodotto o servizio, segnando un incremento di circa 30% rispetto all’anno precedente. Parallelamente, dal 2019 le richieste di professionisti con competenze in AI sono aumentate del 157%, segnalando un’espansione significativa della domanda in questo settore. Il 2024 si profila quindi come un anno di svolta, con una crescita esponenziale di professionisti alle prese con l’AI, che passano da 40.000 a oltre 300.000. Questo sviluppo è accompagnato da un significativo aumento della partecipazione femminile nel settore, che è salita dal 30% a oltre il 40%, suggerendo un ruolo sempre più centrale delle donne nelle professioni Stem.

Disomogeneità fra “big” e pmi

Tuttavia, la diffusione dell’intelligenza artificiale nelle imprese italiane rivela una chiara disomogeneità tra le grandi aziende e le pmi. Le imprese di grandi dimensioni, grazie alle loro risorse e capacità di investimento, hanno un tasso di adozione dell’AI del 24%, mentre solo il 5% delle piccole imprese è riuscito a implementare queste tecnologie. Le città che trainano questa crescita, come Milano, Roma, Torino, Bologna e Napoli, sono i principali centri di adozione nei settori IT, sviluppo software e servizi di ricerca.

“L’innovazione tecnologica è un motore dello sviluppo del Paese – evidenzia Alberto Tripi, Special Advisor di Confindustria per l’Intelligenza Artificiale – ed è fondamentale la capacità di guidare il cambiamento per assicurare alle nostre imprese la disponibilità di competenze e di know-how adeguatamente formato, per aiutarle a massimizzare le opportunità di investimenti in nuove tecnologie ed essere più competitive sui mercati nazionali ed internazionali. La trasformazione digitale è ‘dirompente’e permette di creare valore a tutti i livelli, con effetti positivi sull’economia, sulla società e sulla qualità della vita di cittadini e lavoratori. L’Intelligenza Artificiale apre nuove e ampie opportunità, cambia, trasforma ma non distrugge il lavoro, elevandone il livello qualitativo e aumentando i benefici non soltanto per le imprese ma per gli stessi lavoratori”.

Mancanza di competenze digitali per il 55% delle aziende

I progressi quindi ci sono ma accompagnati da importanti ostacoli: nonostante la crescita esponenziale del numero dei professionisti impegnati con l’AI, la mancanza di competenze digitali rimane il principale freno, identificato dal 55% delle aziende. Inoltre, nel 2023, solo il 46% della popolazione italiana possedeva competenze digitali di base, un dato inferiore alla media Ue del 56%. I costi elevati, in particolare per le pmi e per le aziende del Centro-Sud, rappresentano un’altra barriera significativa, segnalata dal 50% delle imprese. Anche la disponibilità e qualità dei dati per l’addestramento dei modelli di AI è un problema per il 46% delle imprese. Particolare attenzione merita l’ostacolo rappresentato dalle considerazioni etiche, che sono indicate come una difficoltà da 1 impresa su 4. Ostacoli culturali, come la scarsa chiarezza normativa e le preoccupazioni sulla privacy, completano il quadro delle difficoltà che frenano lo sviluppo dell’AI in Italia.

Formazione continua al centro del nuovo paradigma

Per affrontare le trasformazioni imposte dall’Intelligenza Artificiale, 4.Manager evidenzia la necessità di un nuovo paradigma che mette al centro la formazione continua, una leadership forte e una cultura aziendale orientata all’innovazione. Questi fattori sono cruciali per sbloccare il potenziale dell’IA, che oggi mostra un panorama frammentato: il 45,7% dei dirigenti e manager e il 55,2% degli altri lavoratori non hanno mai seguito alcun corso di formazione specifica sull’IA nell’ultimo anno, evidenziando un significativo divario di competenze a tutti i livelli aziendali.

Non si tratta solo di quantità, ma anche di qualità: la formazione attuale non risponde pienamente alle sfide poste dall’IA. Con una valutazione media di efficacia di appena 3,3 su 5, i percorsi attuali sono percepiti come insufficienti. Questo scenario evidenzia l’urgenza di sviluppare programmi più mirati e di qualità, in grado di soddisfare le esigenze delle aziende italiane, alla ricerca di professionisti che uniscano competenze tecniche a leadership e gestione del cambiamento.

I profili più richiesti

Tra i profili più richiesti spiccano l’AI Integration Specialist (18,6%), il Chief Data Officer (9,3%) e l’AI Strategy Director (8,9%). Oltre alle competenze tecniche specifiche – come la padronanza di IA, analisi dei dati, Machine Learning e Deep Learning – le aziende attribuiscono grande valore alle soft skills. Flessibilità al cambiamento, pensiero critico, capacità di problem solving e lavoro di squadra sono qualità indispensabili per affrontare le sfide della trasformazione

Due nuovi strumenti a disposizione

Per colmare questi gap, 4.Manager metterà a disposizione delle parti sociali un sistema di Skill Intelligence , basato sull’analisi di quasi mezzo milione di offerte di lavoro e dati provenienti da Inps, Sviluppo Lavoro Italia e dal sistema europeo Esco. Questo strumento consentirà alle aziende di identificare i bisogni formativi e progettare percorsi mirati per affrontare l’evoluzione tecnologica.

In questo contesto si inserisce anche la nuova proposta della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Antonianum: un percorso di alta specializzazione in etica e intelligenza artificiale. Questo innovativo programma si ispira alla necessità di sviluppare un’etica non semplicemente “dell’IA”, ma “per l’IA”.

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