L'ANALISI

Lavoro, servono formule “win-win” per la contrattazione dell’era digitale

Ancora forte la diffidenza degli enti. Ma per adeguarsi al “nuovo” mercato è necessario superare un’impostazione eccessivamente conservativa e guardare con meno pregiudizio alle nuove frontiere della contrattazione collettiva . L’analisi di Edgardo Ratti, co-Managing Partner di Littler

Pubblicato il 09 Apr 2019

Edgardo Ratti

co-Managing Partner Littler

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Uno dei temi più interessanti al momento, ancorché poco trattato, è quello del fiorire di una contrattazione collettiva nazionale per così dire alternativa a quella più tradizionale. E’ un dato di fatto che le organizzazioni sindacali storiche, Cgil, Cisl e Uil spesso non abbiano saputo intercettare le mutate esigenze del mercato del lavoro e proporre aspetti innovativi all’interno dei Ccnl contrattati e firmati da loro.

Di più: certi settori, si pensi ad esempio al mondo del terziario avanzato (peraltro sempre più in sviluppo), non trovano neppure una disciplina calzante all’interno dei Ccnl più storici, che ormai risultano tarati su un mondo lontano e troppo datato. Non sorprende quindi che, nei Ccnl negoziati dalle sigle sindacali di maggior tradizione, spesso non si riescano neppure ad individuare i profili professionali di ultima generazione come, per esempio, quelli del mondo digital. Questi vuoti vengono via via riempiti dai contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle sigle sindacali più “giovani” che cercano di dare una regolamentazione, in linea con i tempi, ai nuovi settori economici e comunque alle istanze del nuovo mercato del lavoro in cui occorre contemperare la flessibilità di cui le imprese hanno sempre più bisogno con la tutela dei lavoratori.

Il Ccnl Terziario Avanzato, sottoscritto dalla Cisal e da diverse organizzazioni datoriali (tra cui l’Anpit), si propone come punto di riferimento per quel mondo, spesso ingiustamente dimenticato, costituito dalle imprese che operano nel campo delle consulenze avanzate, dell’informatica specialistica (ad esempio, telematica, robotica, implementazione e manutenzione di hardware e produzione ed assistenza di software, comunicazione digitale, progettazione informatica) e dei servizi avanzati (ad esempio, ricerche di mercato, servizi di marketing, aziende di grafica e design). Un riferimento quindi per il mondo digital e non solo. Ed al contempo un modello portatore di una rinnovata sensibilità: se da un lato concede maggiori spazi di manovra per quel che riguarda, ad esempio, l’utilizzo del contratto di lavoro a tempo determinato (importante strumento di flessibilità per le imprese), dall’altro lato promuove il welfare aziendale e la contrattazione collettiva aziendale a beneficio dei lavoratori.

L’indirizzo della nuova contrattazione collettiva è quello di individuare formule “win-win” per le parti coinvolte e soluzioni in linea con i tempi attuali e ciò nell’ambito di un approccio estremamente pragmatico e meno ideologico rispetto a quanto si faceva nel passato.

Ma non sono tutte rose e fiori. Resta tutt’oggi una certa diffidenza, soprattutto da parte degli Enti, nei confronti della contrattazione collettiva di più recente origine. Più facilmente vengono infatti considerati, soprattutto dagli Enti, “leaders” – e quindi presi come riferimento per quanto ad esempio concerne il pagamento della contribuzione – i contratti collettivi nazionali sottoscritti nei decenni scorsi dalle organizzazioni sindacali storiche.

Il problema risiede nel fatto che, nel nostro ordinamento, non si rinviene la nozione di contratto collettivo nazionale “leader” né quella, connessa, di “associazione sindacale comparativamente più rappresentativa sul piano nazionale”. Neppure si rinviene un parametro univoco per poter individuare quali siano le sigle sindacali dotate del requisito di maggior rappresentatività in termini comparativi sul piano nazionale. E quand’anche si possa fare riferimento ad una serie congiunta di parametri individuati dalla giurisprudenza e dalle prassi amministrative (il numero complessivo dei lavoratori occupati, il numero complessivo delle imprese associate, la diffusione territoriale sia con riferimento al numero delle sedi presenti sul territorio che agli ambiti settoriali coperti ed il numero dei contratti collettivi nazionali sottoscritti), si pone pur sempre la delicata questione operativa di come potere applicare tali criteri in assenza di dati certi circa le iscrizioni sindacali e così via. Il tutto a tacer poi del fatto che la fotografia della maggiore rappresentatività in termini comparativi sul piano nazionale, quand’anche fosse possibile, sarebbe necessariamente legata ad un determinato momento e come tale soggetta al mutamento dei tempi con la conseguenza di potere sempre porre in discussione il risultato non trattandosi di un dato vero in assoluto ed immodificabile nel tempo.

La verità è per l’appunto che, nel nostro ordinamento, non esiste la certezza giuridica di cosa debba intendersi per contratto collettivo nazionale “leader” e/o per “associazione sindacale comparativamente più rappresentativa sul piano nazionale”; il ché pone un’inevitabile alea. Spesso nell’incertezza la tendenza, soprattutto degli Enti, è quella di accreditare più facilmente le organizzazioni sindacali storiche e con esse i contratti collettivi nazionali sottoscritti da quest’ultime.

Bisogna però capire che un conto è contrastare la cosiddetta “contrattazione pirata” ed un altro è contrastare la fisiologica evoluzione dei tempi e con essa quei contratti collettivi nazionali che risultano sì “giovani” ma sono comunque espressione di associazioni sindacali dotate di una significativa rappresentatività sul piano nazionale e ciò magari, a maggior ragione, in quei settori economici innovativi, tra cui il digital, rispetto ai quali la più classica contrattazione collettiva nazionale potrebbe risultare meno presente.

La “leadership” di un contratto collettivo nazionale non può sempre essere ricollegata alla storicità o comunque solo alla storicità del contratto stesso e, quand’anche così fosse, si dovrebbe allora concludere che l’evoluzione dei tempi porterà all’affermazione di altri, e nuovi, Ccnl.

L’augurio è che si possa superare un’impostazione eccessivamente conservativa per guardare con meno pregiudizio alle nuove frontiere della contrattazione collettiva sì da evitare di accreditare sempre e solo i contratti collettivi nazionali più tradizionali e riconoscere dignità anche a quei più recenti contratti che, lungi dall’essere “pirati” promanando al contrario da organizzazioni sindacali dotate di un significativo livello di rappresentatività, intendano dare una disciplina più moderna a determinati settori economici.

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