RAPPORTO

Google, Facebook, Amazon: maxi-ricavi, ma poca occupazione in Italia. L’allarme di Inapp

Le piattaforme digitali registrano un basso numero di dipendenti e un altissimo turnover: è la fotografia dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche. Il presidente Sacchi: “Individuare modelli in grado di redistribuire i guadagni di produttività e il valore aggiunto che vengono dal progresso tecnologico”

Pubblicato il 14 Giu 2018

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Google, Facebook e Amazon: forte crescita di ricavi e salari per addetto, ma pochi occupati, pochissimi dipendenti a tempo indeterminato e altissimo turnover. E’ la fotografia sull’impatto socio-economico della digitalizzazione, con un focus sulle piattaforme digitali attive in Italia, che emerge dallo studio Inapp – l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche – presentato oggi.

Secondo il rapporto, in linea con la tendenza mondiale, si assiste per le piattaforme Ott una forte crescita di ricavi e salari per addetto, andando in controtendenza rispetto ai settori nei quali operano mentre la dinamica occupazionale risulta di bassa intensità.

“Nel 2016 – scrive l’Inapp – in Italia Google e Facebook contavano rispettivamente 195 e 22 dipendenti; questo è in parte spiegabile con la natura tecnologica e organizzativa delle piattaforme, che fa sì che il loro fabbisogno occupazionale sia volto principalmente a profili tecnici e manageriali”.

Tra i big player l’eccezione la fa Amazon, la piattaforma con il maggior numero di occupati, 1169 dipendenti nel 2016. Un dato che si spiega “con l’importante rete di raccolta e smistamento beni di Amazon Logistica – dice il rapporto – e con una presenza massiccia di lavoro in somministrazione, caratterizzato da un turnover molto elevato”. Per Amazon gli avviamenti in media nel periodo 2016-17 hanno superato le 7.000 unità ma il turnover ha superato il 1200%.

Nelle piattaforme specializzate nella consegna dei pasti sono state considerate Deliveroo, Foodora e Just-Eat vedendo che c’è una bassa intensità occupazionale (tra i 45 e gli 80 dipendenti) con tre modelli organizzativi diversi; mentre Foodora, a fronte di un ridotto nucleo di dipendenti, sottoscrive contratti di collaborazione coordinata e continuativa con i rider, Deliveroo utilizza contratti di collaborazione occasionale e rapporti di lavoro autonomo. Il modello Just-Eat prevede invece il coinvolgimento di un terzo soggetto chiamato esclusivamente a stipulare contratti di collaborazione con i rider.

“Le piattaforme – dice il presidente Inapp, Stefano Sacchi – anche quelle globali, occupano poco personale e pagano nel nostro paese poche tasse rispetto ai ricavi. Quindi c’è un problema molto rilevante di distribuzione dei guadagni delle piattaforme digitali, che da un lato non si trasformano in occupazione e dall’altro non alimentano la capacità redistributiva dello Stato attraverso le imposte. Assieme al problema di come garantire adeguata protezione sociale ai lavoratori della gig economy, la questione fondamentale dei prossimi anni è come redistribuire i guadagni di produttività e il valore aggiunto che vengono dal progresso tecnologico. L’alternativa è una società fortemente polarizzata, un modello insostenibile dal punto di vista della necessità di garantire sostegno politico diffuso alle democrazie liberali e incompatibile con la coesione sociale”.

Inapp ha, inoltre, presentato un altro policy brief, ‘Natura delle mansioni e dinamica dell’occupazione italiana’, a cura di Valentina Gualtieri, Dario Guarascio e Roberto Quaranta, i cui risultati mostrano come le professioni caratterizzate da una prevalenza di mansioni routinarie tendano ad essere penalizzate in termini di dinamica occupazionale. Al contrario, le professioni connotate da mansioni ad alto tasso di creatività si caratterizzano per un minor rischio di sostituzione. Si iniziano a notare quindi in Italia i tratti della polarizzazione dell’occupazione in connessione al cambiamento tecnologico, come negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in vari altri paesi europei.

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