L’impatto dell’intelligenza artificiale nel lavoro si traduce in una gigantesca sfida di formazione per le aziende: più di 120 milioni di lavoratori nelle 12 maggiori economie mondiali avranno bisogno di reskilling nei prossimi tre anni per effetto della diffusione dell’Ai, svela un sondaggio condotto da Ibm Institute for Business Value.
Il sondaggio, basato sulle risposte di 5.670 top executive di 48 paesi, stima che 50,3 milioni di lavoratori in Cina avranno bisogno di retraining come effetto dell’automazione intelligente; negli Stati Uniti saranno 11,5 milioni, in Brasile 7,2 milioni, in Giappone 4,9 milioni e in Germania 2,9 milioni. Questi cinque paesi sono in cima alla lista delle nazioni con necessità di aggiornamento delle competenze per la forza lavoro.
Molte aziende si mostrano preoccupate in generale per la carenza di talenti, ovvero nuove risorse da assumere che siano capaci di gestire le nuove applicazioni basate su intelligenza artificiale e machine learning. Ma anche le attività di aggiornamento delle competenze del personale esistente sono gravose: il sondaggio di Ibm sottolinea che l’attività formativa dell’era dell’Ai è più lunga e complessa e i lavoratori hanno bisogno di 36 giorni di training per chiudere lo skill gap contro i tre giorni quantificati nel 2014.
Alcune skill richiedono più tempo per essere sviluppate perché sono o altamente tecniche, come le competenze nella scienza dei dati, oppure molto spostate in ambito comportamentale e relazionale: sono cioè delle “soft skill”, come la capacità di lavorare in team, la creatività e l’empatia.
Insegnare queste competenze è più difficile che formare su competenze tecniche: le soft skill di solito sono in parte innate e in parte apprese sul campo tramite l’esperienza; un corso o un webinar non bastaano. La preoccupazione che emerge dal sondaggio è che le aziende pensano di aver bisogno di soft skill ancor più che di skill tecniche perché sono cruciali per affrontare il lavoro nell’era dell’automazione. Nel 2016 i top manager sentiti in un sondaggio analogo di Ibm citavano le competenze Stem e la capacità di scrivere software come le skill più ricercate, ma nel 2018 in cima alla lista ci sono la disponibilità ad essere flessibili, agili e adattabili al cambiamento e la capacità di gestire il tempo e definire priorità.
Parte della soluzione è nel poter fare leva sul bacino di talenti globale. Per chiudere lo skill gap, dice Ibm, le aziende possono senz’altro ricorrere al reskilling ma anche assumere professionisti da tutto il mondo, che rappresentano culture e percorsi formativi diversi. Anche assumere da aziende di rami diversi o spostare le risorse interne da una divisione all’altra aiuta a colmare il divario di competenze.
Infine, le aziende possono usare le stesse applicazioni di intelligenza artificiale e analisi dei dati per definire le proprie necessità di competenze e disegnare percorsi formativi personalizzati per i propri dipendenti, rinnovando tramite le tecnologie digitali la funzione Hr.