LA LETTERA

Smart working, appello a Conte: “Sgravi fiscali per chi innova”

Il think tank Competere: “Servono agevolazioni e linee guida per recuperare il terreno perso negli ultimi anni”. In ballo il rischio di cyberattacchi e perdita di dati ad alto valore economico

Pubblicato il 05 Mar 2020

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“Credito d’imposta o sgravi fiscali per chi investe nella trasformazione digitale e nella formazione dei lavoratori”. E’ l’appello rivolto al presidente del Consiglio Giuseppe Conte (ma anche a Mise, ministero del Lavoro, Agricoltura, Difesa, Interni, Trasporti, Innovazione e Turismo) da Pietro Paganini e Roberto Race di Competere, think tank indipendente che punta a favorire politiche per l’innovazione e lo sviluppo sostenibile.

Il coronavirus accelera l’introduzione dello smart working. Ma attenzione, dicono a Competere: “Per mettere un lavoratore in condizione di operare efficientemente da casa, cioè in piena sicurezza (dei dati e della proprietà intellettuale) occorre che le aziende abbiano strutturato un sistema informatico in un Cloud sicuro. Oggi tutto il personale che si collega da casa, con connessioni nella maggior parte dei casi non protette, è potenzialmente oggetto di attacchi di hacker che potrebbero violare segreti aziendali e entrare in possesso di brevetti. Ugualmente la maggior parte del personale ignora le minime procedure di protezione dei dati e delle informazioni”.

Serve dunque un piano strutturato, che preveda sgravi fiscali e linee guida per far fronte all’emergenza. Non c’è tempo da perdere, fa sapere Competere. “Quello che si sarebbe potuto fare in molti anni va – incredibilmente – realizzato in poche settimane o addirittura giorni -. La missione è difficile ma va perseguita. Non ci sono altre strade”.

Smart working, Italia al ralenti

Del resto finora l’adozione dello smart working in Italia è stata frenata da una serie di ostacoli “a causa del  conservatorismo organizzativo italiano, la ritrosia ad introdurre tecnologie digitali, e il Dna medio piccolo delle imprese italiane”. Molte aziende, spiegano Paganini e Race, “sono impreparate alla trasformazione digitale. Lo shock che deriverebbe dalla forzata trasformazione digitale e dalla repentina introduzione dello smart working potrebbe avere conseguenze positive per il nostro tessuto produttivo, obbligando le imprese a fare in pochissimo tempo quello che non sono riuscite a fare fino ad oggi. Ma ci sarebbero anche dei grossi rischi, le cui conseguenze potrebbero essere imprevedibile e certamente negative per un’economia già in difficoltà”.

“Siamo arrivati tardi e siamo impreparati – scrive Competere -. Serve che ci rimbocchiamo le maniche e si intervenga. Dobbiamo intervenire urgentemente per introdurre lo smart working nel più breve tempo possibile ma con ragione e affidandoci al metodo sperimentale. Dobbiamo cioè prendere in considerazione il rischio di attacchi informatici con la conseguente perdita di informazioni con alto valore economico, o la perdita involontaria di dati, il furto di dati sensibili, etc.”.

Proprietà intellettuale in Italia

Già oggi l’Italia si colloca dopo tutti i Paesi del G7 nell’International Property Rights Index 2019, l’Indice Internazionale sulla tutela dei Diritti di Proprietà. “Per Competere continua la lettera – la proprietà intellettuale include anche il patrimonio di informazione che nell’economia attuale rappresenta un vantaggio competitivo. Perderla o farsela sottrarre sarebbe un ulteriore danno per il nostro paese. Così come l’Italia è uno dei paesi con la più elevata perdita di informazioni sensibili ad alto valore economico a causa di furti premeditati – anche dall’estero – e di incompetenza da parte del personale”.

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