IL LAVORO POST COVID

Smart working, in Italia nuova moneta di scambio

Il 43% dei lavoratori considera la flessibilità dell’orario o della sede un requisito fondamentale. E per il 21% è priorità assoluta. I risultati del Future of Work Life di Ericsson Consumer & IndustryLab

Pubblicato il 05 Apr 2023

smart working

Sono 4 su 10 i lavoratori che in Italia godono, dalla fine dell’emergenza Covid, di una maggiore flessibilità sul lavoro. Poco più di uno su tre, il 33%, considera la tecnologia come un fattore di flessibilità, che consente di lavorare da qualsiasi luogo. Inoltre il 43% considera la flessibilità dell’orario o della sede di lavoro come un requisito fondamentale, mentre per il 21% la flessibilità sarebbe la priorità assoluta nel momento in cui ci si trovasse nella condizione di voler cercare una nuova occupazione. Sono i principali dati che riguardano l’Italia che emergono dal report “Future of Work Life, realizzato dall’Ericsson Consumer & IndustryLab per fare luce su come i dipendenti e i datori di lavoro stiano affrontando l’attuale situazione e per far emergere le loro opinioni sul futuro del lavoro dopo l’impatto di pandemia, digitalizzazione e flessibilità del mercato. La ricerca è stata condotta in 30 mercati a livello globale, tra cui l’Italia, attraverso 38mila sondaggi online tra i dipendenti, 3.600 tra i decision maker e 11 interviste approfondite con i decision maker in settori selezionati in tre mercati: Cina, Spagna e Stati Uniti.

L’effetto pandemia

Dopo un lungo periodo in cui le modalità di lavoro sono rimaste invariate, secondo il report di Ericsson, la pandemia ha rappresentato un elemento di rottura: così il 48% del campione globale afferma di godere oggi di una maggiore flessibilità sul lavoro, il 52% considera la flessibilità dell’orario o della sede di lavoro come un requisito fondamentale, e il 25% afferma che la flessibilità sia la priorità assoluta se volesse iniziare a cercare un nuovo lavoro. Secondo la nuova mentalità emergente “svolgere il lavoro piuttosto che andare al lavoro” è considerato centrale.

Il ruolo della connettività mobile

Un aspetto fondamentale per colmare il divario digitale e garantire un lavoro più flessibile a chi non dispone di una connessione fissa è la connettività mobile: secondo il report infatti per lavorare da casa il 69% degli intervistati utilizza la banda larga via cavo o in fibra per accedere a Internet, mentre il 61% ha accesso a router 3G/4G/5G o può utilizzare il proprio smartphone, con il 29% che utilizza esclusivamente le reti cellulari per connettersi. “La necessità di affidarsi completamente alla connettività mobile è particolarmente evidente nelle aree rurali, quelle dei centri con meno di 5.000 abitanti – spiega Ericsson –  dove 4 persone su 10 utilizzano router e reti cellulari 3G/4G/5G per connettersi a Internet, mentre anche un quarto degli abitanti delle grandi aree metropolitane, quelle con più di 5 milioni di abitanti, utilizza esclusivamente le reti mobili.

La flessibilità come “moneta di scambio”

Nel rapporto tra azienda e lavoratore la flessibilità emerge come la nuova moneta di scambio: per i dipendenti si tratta di un bisogno da soddisfare. Se nel lavoro ibrido vengono inoltre utilizzate le tecnologie digitali più efficaci i giudizi positivi da parte dei dipendenti arrivano a raddoppiare. A fronte di questo, però, soltanto il 33% dei datori di lavoro tiene conto delle preferenze dei dipendenti quando investe in nuove tecnologie, mentre 4 dipendenti su 10 si scontrano con strumenti non adatti alle loro mansioni.

Flessibilità e sorveglianza

Uno dei temi all’ordine del giorno nell’era del lavoro ibrido è l’equilibrio tra visibilità e rispetto della privacy: il 65% dei dipendenti che si dichiarano ottimisti in merito alla flessibilità garantita dalla tecnologia ritiene infatti che questa sarà accompagnata da un aumento della sorveglianza. Tra le preoccupazioni più importanti dei decision maker sul lavoro da remoto, inoltre, emerge quella di una diminuzione della “fedeltà” dei lavoratori man mano che il lavoro ibrido continua a diffondersi.

Le 5 direttrici del futuro del lavoro

Secondo la ricerca di Ericsson quando si parla di “lavoro del futuro” i dipendenti danno la priorità a cinque aspetti fondamentali: la stabilità finanziaria (per il 25% del campione), la flessibilità (24%), la digitalizzazione/tecnologia (20%), il lavoro organizzato per progetti (12%) e la carriera (19%). Spostando l’attenzione sull’Italia, le percentuali cambiano, e vedono in testa la stabilità (40%) seguita da flessibilità (21%), digitalizzazione/tecnologia (17%), carriera (17%); lavoro organizzato per progetti (5%).

La centralità dalle soluzioni Ict

“Dalle nostre ricerche emerge chiaramente che il futuro del lavoro dipenderà sempre più da soluzioni Ict come il 5G o connettività mobile ad alta velocità disponibile in tutto il mondo – afferma Anders Erlandsson, responsabile dell’IndustryLab di Ericsson – Riteniamo che la pandemia possa finalmente essere vista dallo specchietto retrovisore e quindi abbiamo voluto approfondire quali cambiamenti nella vita lavorativa delle persone si sono mantenuti e quali invece sono stati temporanei. Il mio risultato preferito è che il lavoro a distanza è chiaramente destinato a restare, forse non proprio al livello misurato durante la pandemia, ma comunque a livelli significativamente più alti.”

Il divario tra le teconologia disponibile e le esigenze dei dipendenti

“Nel mezzo della rapida digitalizzazione provocata dalla pandemia, la nostra ricerca evidenzia un divario preoccupante tra la tecnologia disponibile sul posto di lavoro e le esigenze dei dipendenti in materia di lavoro flessibile – aggiunge Jasmeet Singh Sethi, responsabile del ConsumerLab di Ericsson – Con 6 aziende su 10 che non dispongono di tecnologie adeguate per il proprio personale e solo 2 dipendenti su 10 che ritengono di avere strumenti appropriati sul luogo di lavoro, è urgente che le organizzazioni investano in strumenti digitali e in una solida connettività che permetta la collaborazione a distanza e la flessibilità, non solo per attrarre e trattenere i migliori talenti, ma anche per rimanere competitivi nel mondo post-pandemia”.

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