Risorse umane sempre più al centro del lavoro del futuro. Ma per una transizione efficiente serve investire in formazione delle HR puntando all’acquisizione di nuove competenze, tecnologiche e “umane”. La posta in gioco è la crescita dell’azienda e la retention di talenti. E’ il quadro disegnato da due analisi sulle nuove sfide in campo per gli HR. Se da un lato la ricerca firmata Radical HR Club fa emergere la necessità per le aziende italiane di scommettere sulla centralità dell’HR, secondo il report Infojobs l’ingresso massiccio del digitale nel percorso di ricerca e selezione richiede nuove competenze necessarie per svolgere al meglio il lavoro di recruiter: dalle competenze tecnologiche al rafforzamento dell’empatia.
Il report di Radical HR Club
Dal rapporto della società fondata da Alessandro Rimassa (co-fondatore anche di Talent Garden Innovation School) emerge che la pandemia ha dato una netta accelerata allo Smart Working: prima era possibile fare Smart Working solo nel 47% delle aziende mentre oggi è realtà per quasi il 90% di esse. La figura dell’HR è al centro di questo processo di trasformazione del lavoro: 7 HR su 10 hanno guidato la scelta dello smart working in tutti i tipi di aziende – grandi, medie e piccole.
Un lavoratore su quattro è totalmente libero di scegliere dove lavorare, ma scegliere liberamente può rivelarsi un’arma a doppio taglio: da una parte, si legge nel report, “si responsabilizzano le persone dimostrando fiducia, dall’altra parte alcune persone tenderanno a isolarsi, a evitare il confronto (e in alcuni casi il conflitto) con gli altri membri del team”.
Tra i lati positivi dello smart working emergono il miglioramento della produttività e del work-life balance, oltre a un’occasione di crescita costante per manager e persone, mentre tra gli aspetti negativi si trovano isolamento, mancanza di comunicazione e tentativo di controllo da parte dei manager. Emerge così il ruolo centrale degli HR che devono progettare programmi di formazione per lavorare bene in smart working e ripensare l’employee experience. Senza formazione e cura, le persone si allontaneranno dall’azienda.
Rapporto aziende-smart working
I dati migliori si registrano nel Centro Italia, in cui è possibile fare smart working nel 91% delle aziende, contro l’88% del Nord. Purtroppo rimane indietro il Sud, in cui solo nel 64% delle aziende è possibile fare smart working. Nel 12% delle aziende non è ancora possibile fare smart working.
Nelle aziende in cui non si applica lo smart working, il 77% degli HR non è stato interpellato o ascoltato, ovvero non ha avuto un impatto sulla scelta della leadership. I motivi sono principalmente legati alla mancanza di fiducia nei confronti delle persone e ad una cultura del controllo e dell’orario e non degli obiettivi.
“I dati confortanti sono che il 90% delle aziende rispondenti fa smart working, dando anche completa libertà e autonomia nella scelta e quasi 7 HR su 10 hanno guidato questa trasformazione – dice Rimassa -. Il dato meno confortante è che c’è ancora il 35% di HR che non viene ascoltato, ci sono tante aziende in cui la leadership è ancorata a schemi di pensiero vecchi e retrogradi. Ci sono aziende che perdono i talenti per la mancanza di fiducia nelle persone”.
Le aziende in cui non è possibile fare smart working, si legge nello studio, stanno perdendo la “battaglia dei talenti”. L’Harvard Business Review l’ha denominata “The Great Resignation”, ovvero l’onda di dimissioni delle persone che non vogliono più lavorare alle condizioni di lavoro delle loro aziende. In Italia sta accadendo lo stesso: tante persone si dimettono dalle aziende in cui non c’è flessibilità e libertà di organizzarsi. I recruiter raccontano che senza Smart Working non solo si licenziano tante persone, ma capita sempre più spesso che vengano anche rifiutate tante offerte.
Il rectruitment digitale secondo Infojobs
L’indagine mostra che sul fronte dei colloqui virtuali emerge, secondo gli HR intervistati, un testa a testa tra chi li considera novità (46%) e chi invece ha solo potenziato l’utilizzo di questo strumento (46,8%). Inoltre l’85% nota come primo vantaggio la flessibilità e l’aumento del bacino di candidati. Infine, l’empatia viene considerata la qualità più importante per un HR per il 50% dei professionisti delle risorse umane.
Osservando i dati emerge un forte accordo, pari al 69% degli HR experts, sul cambiamento più impattante: ricerca e selezione del personale hanno cambiato soprattutto la modalità e gli strumenti, con una notevole integrazione delle tecnologie digitali.
Infatti, tali modalità sono cambiate proprio a favore di una maggiore digitalizzazione nei momenti del colloquio, sia per chi ha dovuto inserire i colloqui virtuali per la prima volta (46%) sia per chi li utilizzava già prima ma li ha comunque potenziati (46,8%).
Tra gli svantaggi del colloquio virtuale, gli HR indicano il valore “intangibile” della conoscenza di persona, la scarsa possibilità di cogliere dettagli su capacità relazionali e di standing, la maggiore freddezza.
Vantaggi e svantaggi del colloquio virtuale
L’ingresso massiccio del digitale nel percorso di ricerca e selezione richiede, secondo il report, “nuove competenze necessarie per svolgere al meglio il lavoro di recruiter: dallo sviluppo di maggiore empatia nel comprendere al meglio un potenziale candidato (49,6%) o comprenderne le gestualità (17,8%), alle competenze tecnologiche (16,8%) in modo da essere efficienti e veloci nelle pratiche del percorso di ricerca e selezione.
Rispetto ai tempi di selezione, il 47,7% sostiene che i colloqui virtuali abbiano velocizzato il processo di selezione, ma non ridotto i tempi totali di assunzione, mentre il 16% nota un processo più veloce dal colloquio virtuale alla scelta ed infine all’ingresso in azienda. Per contro, il 27% dei rispondenti non evidenzia nessuna modifica sostanziale nei tempi di selezione, e un 9,4% rileva addirittura un allungamento in termini di tempi e step.
Un’altra tematica fondamentale è la qualità della risorsa assunta: il colloquio virtuale o più in generale il cambio modalità nella selezione la influenza? Per il 48% è ancora presto per poter dare un vero e proprio giudizio, mentre il 27% afferma che non sia la modalità ad incidere sulla qualità del candidato. Infine, percentuali più piccole ma più polarizzate di chi ha già un’opinione: se il 13% sostiene fermamente che la digitalizzazione della selezione non ha influito sulla qualità delle risorse effettivamente inserite, vi è un 12% che ha notato un aumento nelle nuove assunzioni poi rivelatesi non adatte al ruolo e/o che non superano il periodo di prova.