INNOVAZIONE

PA alla prova smart working. Dadone: “Tutor per facilitare la transizione”

L’annuncio della ministra: “Pensiamo a figure specifiche che accompagnino la trasformazione e sostengano i dipendenti, ma anche i cittadini”. Sindacati in pressing sul diritto alla disconnessione: “La bussola sia la contrattazione collettiva”

Pubblicato il 23 Set 2020

smart home- smart working

L’Italia si prepara alla sfida smart working. Il banco di prova sarà la PA, come spiegato dalla ministra Fabiana Dadone, intervenuta a “Mi Manda Rai Tre”, che ha annunciato che a gennaio sarà pronto “il piano organizzativo del lavoro agile per improntare l’organizzazione nell’ottica di stimolare l’amministrazione”. E in questo processo potrebbero essere introdotti dei “tutor per aiutare sia le amministrazioni che le persone, i cittadini”, ha sottolineato la ministra.

Sul tavolo anche la questione del diritto alla disconnessione su cui si sono accesi riflettori proprio in occasione della pandemia che ha costretto aziende e lavoratori a ricorrere al lavoro agile. A questo proposito il Parlamento europeo sta lavorando a una direttiva ad hoc applicabile a chiunque – pubblico e privato – utilizzi strumenti digitali. La possibilità di “staccare” dallo smart working e i sempre più sfumati confini tra lavoro e vita privata sono stati al centro delle discussioni della Commissione occupazione e affari sociali del Parlamento europeo.

Gli europarlamentari stanno discutendo standard comuni che assicurino protezione per i lavoratori del mondo digitale. Il voto in Commissione sul tema è previsto per dicembre.

Su questo fronte Dadone ha ricordato che ci sono “tavoli al ministero” per trovare la quadra sul tema, soprattutto in vista del fatto che il governo intende lasciare in lavoro agile fino al 60% dei dipendenti pubblici – la quota sarà stabilita tramite piani ad hoc dei elaborati dai singoli enti – anche una volta passata del tutto l’emergenza sanitaria.

I sindacati sono pronti ad aprire una discussione a tutto campo ma chiedono regole certe a tutela dei lavoratori, anche privati, nel quadro della contrattazione collettiva. “La discussione sulla regolazione dello smart working deve essere tema di contrattazione di collettiva – dice il il segretario generale aggiunto della Cisl, Luigi Sbarra – Il governo lasci perdere la nuova legge sullo smart working – ed esca dalla logica della normativa di emergenza riportando il tema alla contrattazione collettiva. E’ un’intrusione e conviene che pensi alle sue cose come la formulazione di progetti credibili per le risorse europee del Recovery Fund o la predisposizione della Nadef. Bisogna superare il regime attuale di smart working che non è tale perché in molti casi è solo una delocalizzazione del lavoro e occorre tutelare i lavoratori su molti temi come la riservatezza dei dati, gli orari di lavoro e il diritto alla disconnessione”.

Secondo una ricerca della della New York University presentata oggi in un convegno organizzato dalla First Cisl, il lavoro da remoto largamente utilizzato per contrastare la pandemia ha comportato un aumento medio dell’orario di lavoro di oltre 48 minuti al giorno. “Il settore bancario – sottolinea la Federazione dei bancari della Cisl – si è posto all’avanguardia con l’introduzione del diritto alla disconnessione nel contratto nazionale. Anche il mondo assicurativo e le altre realtà del credito hanno conseguito risultati importanti attraverso gli accordi aziendali. Lasciare i lavoratori da soli a negoziare con le aziende non è un’opzione per il sindacato: il rischio è quello di destrutturare il rapporto di lavoro subordinato, che deve restare invece il baricentro del settore”.

“Durante il lockdown abbiamo sperimentato non lo smart working ma l’home working: è stato necessario per contenere la diffusione del virus. Ma adesso – ha affermato il segretario generale di First Cisl, Riccardo Colombani – dobbiamo andare oltre l’emergenza. Per farlo non servono però interventi legislativi eccessivamente prescrittivi, è la contrattazione che deve riappropriarsi del suo primato”.

In Italia, nel settore finanziario e assicurativo la percentuale dei lavoratori in smartworking era del 2,4% ad inizio 2020, prima del Covid – 19; è passata al 26,1% a marzo – aprile, dunque nel pieno dell’emergenza sanitaria; si è poi contratta parzialmente a maggio e a giugno, dopo la fine del lock down , scendendo al 16,5%. Perché lo smartworking rappresenti davvero un’opportunità per i lavoratori – ha aggiunto Colombani – “non dobbiamo coltivare l’illusione che bastino nuove regole per governarne l’impiego. Ciò di cui più abbiamo bisogno è un approccio multidisciplinare, in grado di inserire questa modalità di lavoro nel nuovo modello economico e sociale che si profila. Di questo nuovo modello dovrà far parte-una profonda evoluzione della cultura organizzativa, basata sull’autonomia e sulla fiducia anziché sul vecchio impianto fordista”.

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