Il lavoro agile è messo a regime dal 86% delle imprese, + 30% rispetto al 2022. Lo afferma la seconda edizione dell’indagine di Variazioni, che ogni anno raccogliere dati sulle policy che regolano i nuovi modi di lavorare e tracciare trend sul futuro del lavoro. Secondo la survey, se nel 2022 il principale obiettivo che spingeva le aziende a fare smart working era il worklife balance, quest’anno primeggia l’innovazione dei modelli organizzativi col 40% dei rispondenti: chiaro segnale del superamento del lavoro agile come risposta emergenziale, per abbracciare invece una visione strategica dello smart working come occasione per migliorare e rivedere processi, strutture e dunque performance dal punto di vista della strategia aziendale e della sostenibilità.
Focus sui target di sostenibilità
L’indagine, che ha coinvolto oltre 300 responsabili Hr di altrettante imprese italiane, mette in evidenza l’emergere di una crescente volontà delle organizzazioni di adottare misure organizzative che contribuiscano al raggiungimento di obiettivi di sostenibilità. Aziende pubbliche e private vogliono essere più incisive e si orientano verso soluzioni organizzative che le aiutino a ridurre i rischi derivanti dal mancato governo delle condotte aziendali con riferimento agli elementi Sociali e di Governance definiti all’interno dell’acronimo Esg.
Oltre l’89% delle realtà intervistate dichiara che il tema della sostenibilità è per le funzione Hr centrale e strategico. Oltre allo smart working, strumento chiave per la sostenibilità, l’indagine ha evidenziato come le organizzazioni adottino misure volte al benessere e a promuovere l’equità.
“La sostenibilità è in effetti il fil rouge dell’indagine quest’anno – spiega Arianna Visentini, ceo & founder di Variazioni -. Il panorama del mondo del lavoro post emergenziale dà il lavoro agile per scontato e si scopre sempre più sostenibile: aumentano le misure per la diversità, l’equità e l’inclusione anche sotto la spinta di una crescente consapevolezza che le direttive europee, contribuiscono a maturare. Superata l’emergenza, oggi le organizzazioni introducono misure per il benessere perché finalmente rientrano in un piano di gestione del rischio. In questo senso, lavoro agile e sostenibilità sono due facce della stessa medaglia: le realtà che hanno compreso che lo smart working non parlava solo di orari e sedi di lavoro ma di strategie, di posizionamento nel mercato, di valorizzazione dei talenti e attenzione alle persone e al territorio, sono quelle che si faranno trovare pronte e competitive all’appuntamento con la sostenibilità”.
L’impegno delle imprese a migliorare l’equità e l’inclusione
Il 72% delle organizzazioni dichiara l’impegno ad agire per migliorare l’equità. Lo smart working è la principale tra le misure adottate per favorire l’inclusione e l’equità: non soltanto come uno strumento di work-life balance. Tra le azioni di Diversity, Equity & Inclusion (DE&I), spiccano il welfare aziendale e la formazione specifica sul tema, ma anche certificazioni e gestione della genitorialità in azienda.
Il 37% delle organizzazioni adotta misure specificamente studiate per tutelare la genitorialità in un regime di equità, oltre a quanto già previsto dal legislatore. Un dato che evidenzia lo sforzo delle organizzazioni ad inserire azioni ad hoc per evitare che la genitorialità sia una discriminante per le donne: emerge quindi che le organizzazioni trovino non sufficienti gli strumenti che il legislatore mette a disposizione e per questo decidano di inserire azioni specifiche per supportare i dipendenti. Anche chi non adotta misure specifiche ne comprende l’importanza strategica: si tratta di un’occasione mancata di crescita del benessere delle persone per il 36% degli Hr manager di queste organizzazioni e di un’opportunità perduta per aumentare l’attrattività nei confronti dei talenti per il 32%.
L’attenzione alla parità di genere
Dallo scorso anno la sostenibilità sociale ha un alleato in più: il sistema di certificazione della parità di genere. Su un 39% di organizzazioni che hanno già ottenuto o stanno lavorando per ottenere la Certificazione Uni/PdR 125:2022. A distanza di pochi mesi le imprese riscontrano vantaggi tangibili: il 51% ha dichiarato che la certificazione si sta rivelando uno strumento essenziale per tracciare un percorso di consapevolezza e cambiamento verso la parità di genere e le pari opportunità, il 31% ha misurato un miglioramento in termini di brand reputation e il 5% è già riuscita a ottenere i vantaggi previsti dalla normativa (sgravi fiscali, punteggi premiali).
“Crediamo molto allo strumento messo a disposizione con la Uni/PdR 125:2022 – spiega Arianna Visentini -. I vantaggi sono oggettivi nonostante la sua introduzione sia recente, e i numeri ci danno ragione. Ovviamente va integrata in un giusto contesto di lavoro e in un percorso trasformativo reale, per evitare il rischio di fare semplice pink washing. Serve avere una road map chiara e ambiziosa all’interno di una strategia di people management. Se messa a terra all’interno di un più ampio percorso della sostenibilità, la Certificazione dà i suoi frutti.”
Lo smart working come driver per la sostenibilità
Lo smart working è un valido alleato per la riduzione delle emissioni, così come confermato anche dal governo nella proposta di aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec). Gli impatti dello smart working riguardano però una prospettiva più ampia e sono riconducibili a tutto il contesto Esg.
Lo smart working è già stato regolamentato dall’86% delle imprese che hanno risposto al sondaggio, l’8% delle intervistate dichiara di avere intenzione di implementarlo. Nel 2022 era il 56% delle organizzazioni intervistate ad avere regolamentato lo smart working, mentre un 38% aveva dichiarato di volerlo regolamentare entro l’anno: i dati del 2023 mostrano una crescita in piena coerenza con quelli dell’anno precedente.
Il lavoro agile nel 2023
La regolazione dello smart working si conferma essere un processo di continuo rinnovamento e miglioramento: ben sette organizzazioni su dieci hanno rivisto e modificato la propria regolamentazione del lavoro agile rispetto alla prima versione adottata. Che si tratti o meno di policy dunque, la ricerca della formula “giusta” di lavoro agile si configura essere un percorso evolutivo, caratterizzato da sperimentazioni e continui adattamenti. La quantità media di giornate di smart working si conferma 2,3 giorni in media a settimana, in linea col 2022, mentre cambia la distribuzione, che si sta assestando su 2 giornate per il 42% e 3 giornate per il 32%. Si rileva anche la tendenza ad aumentare l’autonomia dei lavoratori in smart per quanto riguarda la scelta dei luoghi: nessuna limitazione per il 25% degli intervistati, contro il 19% dell’anno scorso. Totale autonomia nell’organizzazione dell’orario per il 18% delle organizzazioni; in crescita anche i lavoratori che non devono più sottostare a fasce di reperibilità, 31%, contro il 23% del 2022.
“Alla base di un corretto approccio al lavoro agile ci deve essere la fiducia e l’autonomia organizzativa: solo in questo modo lo smart working è ‘vero’ smart working e dà risultati positivi in merito a performance e well-being – chiarisce Visentini -. Partendo da questo presupposto non possiamo che accogliere con positività i dati che confermano la tendenza delle imprese che hanno abbracciato lo smart working a lasciare più margine di decisionalità e auto-imprenditorialità delle persone. Attenzione, questo non significa affatto assenza di controllo: significa invece monitorare gli item “giusti” in relazione a un miglioramento di performance, come il raggiungimento degli obiettivi e l’engagement, affinché aspetti come l’orario e il luogo diventino secondari, così come il loro monitoraggio”.
La misurazione delle performance
Strumenti di monitoraggio per lo smart working sono previsti nel 56% delle organizzazioni intervistate. Che il tema monitoraggio non debba essere tralasciato lo conferma un’altra sezione dell’indagine: quella sulle motivazioni che spingono le aziende a non implementare lo smart working. Per il 31% semplicemente non è una priorità, mentre il 25% sottolinea di non avere strumenti di controllo adeguati al lavoro da remoto.
“Sappiamo per esperienza – conclude Arianna Visentini – che le aziende che si pongono delle domande in merito alle performance del lavoro da remoto non hanno strumenti efficaci di misurazione delle performance anche in presenza. L’introduzione del lavoro agile diventa così l’occasione di migliorare anche in ottica di performance management.