Per un lavoratore su cinque l’esperienza dello smart working è “ottima”, per oltre la metà è “positiva” mentre per nessuno è pessima. Ma il 58% chiede un’organizzazione del lavoro ibrida, un mix di attività in presenza e da remoto.
Sono questi i risultati salienti della ricerca sul lavoro agile nel settore metalmeccanico elaborata da Fim Cisl e Adapt, che ha permesso di conoscere e analizzare le condizioni di lavoro e la percezione dei lavoratori rispetto alle modalità di lavoro agile, esplose a causa della pandemia.
I primi risultati della ricerca sono relativi a un campione di 4862 questionari compilati e rielaborati. “Un patrimonio d’indagine di assoluto rilievo, raramente raggiunto da indagini simili”, spiega una nota Fim.
La popolazione lavorativa che ha risposto è composta per il 63% da uomini e 37% da donne, prevalentemente da diplomati (37%) o laureati (39%); per il 38% senza figli e per il 56% con 1 o 2 figli, per il 35% di età compresa tra 45 e 54 anni.
Sono le grandi città come Roma, Milano, Torino, Trieste, Genova e Bologna quelle da cui si sono arrivate maggiori risposte.
Il 62% dei lavoratori è occupato in grandi aziende sopra i 500 dipendenti, prevalentemente nei comparti dell’aerospazio, dell’Ict, della produzione di software e nell’automotive.
L’80% dei lavoratori ha cominciato l’attività in lavoro agile per la prima volta con la pandemia.
Il 37% svolge 5 giorni su 5 il lavoro da casa mentre un altro 12% lo svolge per 4 giorni.
Il questionario vedeva ad ogni domanda corrispondere ad un punteggio per fornire ai lavoratori stessi, tramite un semaforo, una valutazione diretta sulla sostenibilità del lavoro in smart-working effettivamente svolto. Il 45% dei lavoratori hanno avuto una risposta “verde” quindi positiva, il 20% arancione, quindi con alcune criticità, mentre il 35% rosso che significa che nella loro attività di lavoro agile persistono importanti problemi e inadempienze.
Le criticità
Nello studio emergono nella prestazione in “smart-working” alcune criticità: il 65% dei lavoratori non ha partecipato a corsi di formazione preparatori o durante lo smart-working finalizzati a gestire al meglio lo stesso. Inoltre il 59% hanno lavorato spesso oltre gli orari di lavoro previsti dal Ccnl e il 61% non ha avuto informazioni circa il diritto alla disconnessione, anche se solo il 12% si ritiene pressato dall’azienda nella gestione della prestazione lavorativa. La maggior parte degli smart workers (86%) utilizza strumenti aziendali ma, di contro, il 38% non ha ricevuto informazioni scritte sugli adempimenti in materia di salute e sicurezza; Infine il 78% non ha avuto appositi benefit aziendali.
I vantaggi
Nonostante le criticità rilevate, quello che emerge dai dati è una valutazione più che positiva del lavoro agile, considerato un modello più flessibile e produttivo. Anche se svolto da casa. Lo smart working piace perché rende più piacevole l’attività – la pensa così il 17% degli intervistati – e perché permette di passare più tempio in famiglia (14%). Il 21% rileva una maggiore concentrazione nello svolgimento delle attività anche se il 10% soffre la solitudine per il 10%: al 25% manca la relazione con i colleghi.
Se dovessero dare un voto medio allo smart working, i lavoratori intervistati darebbero 8.
“Si tratta – commenta il Segretario generale della Fim Cisl, Roberto Benaglia – di un ampia ricerca, unica nel suo genere fatta sul campo, che finalmente fa chiarezza sul reale andamento e caratteristiche dello smart-working a partire dalla condizione dei lavoratori e non tanto dalle idee astratte”.
“Il dato che emerge è ambivalente ma interessante: lo smart-working certamente è una modalità di lavoro impegnativa, ma che risulta in buona parte sotto controllo e permette una flessibilità di tempo che dalle persone è molto apprezzata – spiega – Certamente emergono dei limiti, in particolare si registra la necessità di un più consapevole coinvolgimento dei lavoratori che devono ricevere più formazione ad-hoc, più coinvolgimento su diritto alla disconnessione ed evidenziano superamenti dei limiti di orario, ma in generale l’esperienza di lavoro agile viene promossa dalla maggioranza dei lavoratori interessati dalla ricerca”
Il fatto che il 45% di loro hanno registrato un “semaforo verde”, ovvero piena equilibrio del modo di lavorare in modalità agile, anche secondo i dettami di legge e sindacali, è un buon dato da cui partire, secondo Benaglia.
“Le criticità che emergono e che dovremo gestire, non sono poche, ma riguardano forse soprattutto il fatto che molte aziende hanno cominciato questa modalità lavorativa solo con l’emergenza sanitaria e hanno necessità di organizzarsi – conclude – Su questo fronte è chiaro che il lavoro agile chiede nuove soluzioni contrattuali e condivise, che possano migliorare questa modalità di lavoro, conciliando sempre più i tempi di vita/lavoro delle persone e il loro benessere che le esigenze di lavoro e produttività delle imprese. E’ positivo che molti lavoratori si dichiarano interessati a continuare questa esperienza di lavoro e che ne apprezzino soprattutto le caratteristiche di flessibilità”
Indietro certamente non si torna. Partendo da questo presupposto la Fim Cisl si pone 2 obiettivi: chiedere al governo di superare la fase di emergenza che oggi rende debole il ruolo delle parti sociali e impegnarci per un ruolo centrale della contrattazione, che sappia in chiave innovativa non solo governare le flessibilità di questa modalità di lavoro, ma porre al centro il lavoro per obiettivi, sostenibile e governato dal lavoratore stesso che possa corrispondere ai cambiamenti di un lavoro sempre più legato ai risultati.