Lo smart working “forzato” a causa dell’emergenza pandemia non è stato soltanto “rose e fiori” per gli italiani. E per fare in modo che in futuro si riesca a trovare la formula per portare benefici sia alle organizzazioni sia ai dipendenti c’è bisogno di nuove regole che servano ad alleviare gli effetti negativi del lavoro agile.
La base da cui partire è quel 28% degli italiani che, in smart working durante la pandemia, ha sofferto di tecnostress, a cui va aggiunto il 17% in sindrome da over working, secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. “A dimostrazione del fatto – scrive Cefriel presentando il proprio white paper “Lavorare bene. Lo smart working come alleato” – che non si può parlare di smart working senza aver definito un modello organizzativo e delle policy adeguate che lo rendano attuabile e positivo per tutte le parti interessate. E questo mentre il dibattito pubblico su come ripensare il mondo del lavoro in base alle esigenze personali sta prendendo sempre più piede – basta osservare quanto sta accadendo negli Stati Uniti, con la nascita di movimenti che rimettono al centro la soddisfazione del lavoratore, intesa in senso olistico e non solo legata alle ore “di ufficio” – e la ricerca sta analizzando in che modo il ricorso allo smart working abbia cambiato profondamente i metodi di apprendimento e formazione nel mondo del lavoro”.
“La vita in ufficio serve a creare cultura, allineamento e coaching diffuso, ma occorre considerare il fatto che il poter lavorare da remoto garantisce flessibilità e work-life balance – afferma Alfonso Fuggetta, CEO e direttore scientifico di Cefriel – Trovare un equilibrio si può: la chiave del successo è definire progetti di smart working disegnati sulle esigenze delle persone, con focus sul raggiungimento degli obiettivi e bilanciamento tra le diverse necessità personali e aziendali”.
Il white paper di Cefriel, centro di innovazione digitale fondato dal Politecnico di Milano, ha iniziato a sperimentare la modalità del lavoro agile già a partire dal 2014, è contenuto nella collana di white paper dedicati ai grandi temi legati all’innovazione digitale dell’impresa e della Pubblica Amministrazione, ed è a cura di Roberta Letorio. Si tratta di una vera e propria guida per aziende e lavoratori, che fissa le priorità secondo cui pensare al “secondo tempo” del lavoro agile e che contiene le best practice dello smart working individuate da Cefriel.
Le regole dello smart working
Tra i principi che emergono dal white paper c’è la necessità di ripensare gli spazi, prevedendo luoghi per interazioni e luoghi di isolamento, con isole progettuali, in cui le persone non hanno una scrivania assegnata, ma si riuniscono intorno a un team di progetto. Allo stesso tempo – secondo le indicazioni di Cefriel – sarà necessario regolare i tempi di lavoro evitando che lo smart working diventi lavoro da remoto senza vincoli di orario. Evitando ad esempio le riunioni tra le 13 e le 14.30, evitando di chiedere il coinvolgimento dei colleghi, salvo imprevisti, al di fuori dell’orario lavorativo e nel weekend, ritardando ad esempio l’invio di e-mail che potrebbero arrivare in questo arco di tempo. Tra le priorità individuate da Cefriel c’è anche il valore delle relazioni negli ambienti lavorativi, che vanno mantenute anche da remoto, e un ripensamento della leadership, che dovrà essere generativa, empatica, attenta allo sviluppo e al benessere delle persone.
“Lavorare bene, anche attraverso un approccio corretto allo smart working, significa saper co-costruire modalità di lavoro e interazione fluide, che cambiano insieme (e grazie) alle persone – afferma Roberta Letorio, Chief Human Capital & Mobility Manager di Cefriel – È certamente impegnativo, sia per le piccole realtà imprenditoriali che per quelle di più grandi dimensioni, ma estremamente produttivo e gratificante”.
Personio e il ruolo delle tecnologie per l’HR
“Spesso si pensa che la trasformazione digitale riguardi principalmente la tecnologia, in realtà riguarda le persone. In definitiva, qualsiasi attività è gestita da esseri umani e attrarre i più adatti, sviluppare i loro talenti e mantenerli è ancora più essenziale oggi che in passato”, afferma Ross Seychell, Chief people officer di Personio, in occasione della presentazione del l’Hr study annuale della multinazionale specializzata in software HR per le piccole medie imprese.
La ricerca è stata condotta a febbraio 2022 su un campione di 5mila dipendenti e 1.205 decisori Hr delle Pmi di tutta Europa, tra i quali 500 dipendenti e 120 decisori in Italia. La ricerca individua alcuni trend particolarmente critici nel contesto di trasformazione digitale che stanno vivendo le imprese in ogni paese d’Europa e che impatta in maniera significativa anche sulle PMI italiane.
“Sorprendentemente – prosegue Seychelle – il 46% dei dipendenti che abbiamo intervistato quest’anno ha dichiarato di voler cambiare lavoro nei prossimi 12 mesi. Le motivazioni riguardano l’insoddisfazione per le attuali prospettive di carriera interna, l’equilibrio tra lavoro e vita privata e persino il riconoscimento del proprio lavoro. E questo dato è in aumento in modo significativo rispetto al 2021. Nonostante sia consapevole di questi rischi, il 59% dei decisori delle risorse umane che abbiamo intervistato a febbraio ritiene di non avere abbastanza tempo per affrontare adeguatamente questa situazione, ancora più cruciale in un contesto di skills shortage dove il 62% dei datori di lavoro europei che abbiamo intervistato sta faticando a assumere talenti. Oggi la tecnologia consente di alleggerire il carico di lavoro legato alle attività amministrative delle risorse umane, quindi per Hr – conclude – potendo contare su adeguate piattaforme, questo è un ottimo momento per essere co-protagonisti nel fare accadere la trasformazione digitale”.
Ivanti: lo smart working acuisce il gender gap
La percezione sullo smart working varia in base a genere. Secondo quanto emerge dal sondaggio annuale di Ivanti Everywhere Workplace che ha coinvolto esperti globali sul tema “Il futuro del lavoro”, intervistando oltre 6.100 impiegati e professionisti IT, il 70% delle donne che lavorano nell’IT ha segnalato di aver riscontrato effetti negativi, a livello psicologico, legati al lavoro da remoto, contro il 30% degli uomini. In aggiunta, molti dipendenti avvertono la perdita di contatto interpersonale con i propri colleghi (9%), aggiungendo di lavorare più ore rispetto a quando erano in ufficio (6%). Il report ha anche mostrato un ulteriore divario di genere: il 56% delle donne intervistate ha affermato come il lavoro da remoto abbia influenzato negativamente la loro salute mentale, rispetto al 44% degli uomini. Mentre il 52% delle donne riferisce di aver perso il contatto interpersonale con i colleghi, rispetto al 47% degli uomini.
“La ricerca di Ivanti mostra come il lavoro a distanza, sia per gli impiegati che per i professionisti IT varia in base al genere – commenta Meghan M Biro, fondatore e ceo di Talent Culture – .All’interno di questa cultura digital-first, molti uomini affermano di essere stati dimenticati per una promozione. Le donne invece, nonostante prevedano di lavorare più a lungo, hanno beneficiato maggiormente della flessibilità che contraddistingue questa nuova modalità di lavoro. Questo cambiamento nell’esperienza dei dipendenti non può essere ignorato. I datori di lavoro devono rispondere adottando una tecnologia che faciliti la collaborazione e riduca le disparità di esperienza tra generi. Tutto questo è possibile considerando il contributo dei dipendenti in ogni implementazione tecnologica”.
Guardando ai potenziali modelli di lavoro futuri, la ricerca evidenzia che il 42% dei dipendenti preferisce modalità di lavoro ibride (+5% dall’ultimo studio). Il 30% dei medesimi opta invece per lavorare da casa in modo permanente (-20% dall’ultimo studio), dimostrando la volontà di interagire nuovamente con i propri colleghi. Nonostante i diversi benefici legati al lavoro da remoto, tra i quali il risparmio di tempo negli spostamenti (48%), un migliore equilibrio tra vita privata e professionale (43%) e un orario di lavoro più flessibile (43%), si sono verificati alcuni svantaggi. Infatti, il 49% degli intervistati afferma di essere stato influenzato negativamente dal lavoro a distanza a causa di una scarsa interazione con i colleghi (51%), della mancanza di collaborazione e comunicazione (28%), del rischio di rumore di fondo e di alcune distrazioni (27%).
Ricoh: scarseggiano le strategie per l’hybrid working
Una nuova ricerca condotta dalla società di ricerca Opinium per conto di Ricoh Europe coinvolgendo 500 lavoratori di imprese in Italia, mette in evidenza come i dipendenti vorrebbero poter disporre di tecnologie in grado di supportare nuove modalità operative, ma le aziende faticano a stare al passo con le esigenze in continua evoluzione.
Solo il 21% del campione afferma che nella propria azienda sono state adottate strategie per l’hybrid working. Inoltre, l’inadeguatezza delle tecnologie e degli spazi a supporto della collaboration sta frenando l’implementazione di modalità operative più agili e innovative. Meno della metà degli intervistati, il 47%, ha riscontrato un incremento delle soluzioni per la comunicazione presenti nelle sale riunioni. Inoltre, un intervistato su quattro (27%) afferma che gli spazi per la collaborazione all’interno dell’ufficio sono diminuiti. Solo il 37% ritiene che siano state rafforzate le misure a tutela della salute, ad esempio introducendo Smart Locker che permettono il ritiro degli asset IT senza dover interagire con altri colleghi di persona.
“Questa situazione potrebbe fungere da deterrente per i dipendenti che desiderano tornare in ufficio, scoraggiando coloro che vorrebbero lavorare in presenza con regolarità. Le conseguenze sono negative anche in un’ottica di produttività e di capacità delle aziende di attrarre e trattenere i talenti in cerca di flessibilità e di ambienti di lavoro smart”, spiega Ricoh in una nota. “In un momento in cui le aziende hanno bisogno di talenti più che mai, un terzo degli intervistati (34%) riceve pressioni da parte del proprio manager affinché rientri in ufficio. Oltre la metà (55%), è convinto che per quest’anno la scelta di lavorare in presenza debba essere lasciata all’individuo. Le politiche relative al lavoro ibrido dovrebbero trovare un equilibrio tra le esigenze dell’azienda e quelle delle persone”