Sullo smart working non si può tornare indietro, pena lo stop al processo di digitalizzazione della PA. Francesco Di Costanzo, presidente di PA Social e della neo-nata Fondazione Italia digitale, non ha dubbi: il piano del ministro Brunetta di tenere il lavoro agile a quota 15% “significa affossarlo”.
Di Costanzo, il piano del ministro è da bocciare?
Sicuramente a Brunetta va riconosciuto il merito di aver acceso i riflettori sulla necessità di inserire lo smart working nella PA post-pandemia, che ha bisogno di nuovi investimenti, di nuova linfa. Ho forti dubbi, però, sulle modalità che – sembrerebbe – verranno scelte per farlo. Sicuramente, guardando ai mesi più bui della pandemia, non possiamo negare che nelle amministrazioni ci sia stato più di qualche problema organizzativo che ha impattato sui servizi. Ma voler tornare indietro è un errore clamoroso.
Brunetta ha parlato di un 15% di lavoratori agili…
È una percentuale irrisoria. In questo modo lo smart working verrà affossato. Va aperta una profonda riflessione e definita una strategia per intervenire laddove si sono riscontrate criticità, ma questo è ben lontano da voler tornare a una PA pre-Covid dove il lavoro agile era residuale oppure tema di dibattito di esperti e “visionari”. La pandemia ha cambiato tutto, ora si deve guardare la realtà con occhi nuovi.
Però è innegabile che qualcosa non ha funzionato nella burocrazia, in questi mesi…
Ci sono state realtà che sicuramente hanno fatto fatica a stare al passo così come altre che hanno dimostrato che, sì, lo smart working si può fare. E bene. Io concordo con il ministro quando dice che bisogna intervenire sull’organizzazione, ma la risposta non può essere il rientro in ufficio bensì investire in infrastrutture, sicurezza, in piattaforme. Perché – non dimentichiamolo – lo smart working è uno degli abilitatori del processo di digitalizzazione della PA. Oggi abbiamo una chance imperdibile per innovare e per due motivi: perché il new normal richiede strategie nuove e perché ci sono le risorse del Pnrr. È un’occasione storica, non perdiamola.
Ma questo auspicio deve fare i conti con la “bestia nera” della PA italiana ovvero la mancanza di cultura e competenze innovative…
L’amministrazione italiana ha in realtà un grande patrimonio di competenze che si possono mettere a frutto. Lo hanno dimostrato le migliaia di dipendenti pubblici che, nonostante la scarsità di mezzi a disposizione, si sono spesi per garantire la continuità di servizio. Ci sono PA meno pronte alla svolta sicuramente ed è lì che dobbiamo insistere. Bisogna, poi, immaginare una mappa delle attività: è chiaro che non tutte possono essere svolte in modalità smart. Ma ce ne sono molte dove, invece, il cartellino può essere abolito e si può passare a una modalità d lavoro ad obiettivi, più flessibile.
I Pola, i piani operativi del lavoro agile, possono essere uno strumento per accelerare la svolta?
Possono essere utili a patto che vengano inseriti in un progetto più complessivo che riguardi la formazione, la sicurezza. E anche la comunicazione. È un tema che sia la Fondazione Italia digitale sia PA Social hanno ben chiaro e stanno lavorando per sensibilizzare su questo fronte.
In questo dibattito sullo smart working, i sindacati sembrano spariti dai radar…
In realtà vedo le organizzazioni più piccole esporsi molto sulla necessità di mantenere lo smart working. Noto che le grandi confederazioni sono un po’ più indietro. Ma per la rivoluzione “smart” nella PA serve l’impegno di tutti.