SCENARI

Smart working nel post Covid nell’80% delle imprese

Studio Fondazione Nord Est-Umana su oltre 500 imprese: la maggior parte delle aziende del terriorio pronta a continuare con il lavoro agile anche una volta terminata l’emergenza. La formazione è la chiave per garantire l’occupazione e mettere i lavoratori in condizione di rispondere alle nuove esigenze organizzative

Pubblicato il 29 Ott 2020

umana

Incertezza ma anche spinta all’innovazione e alla trasformazione dei modelli organizzativi del lavoro. Queste sono le consguenze della pandemia da Covid-19 nella fotografia scattata dal report di Fondazione Nord Est e Umana che ha censito oltre 500 imprese del territorio.

Tra gli imprenditori del Nordest emerge da un lato un clima di forte incertezza che si riflette sulle prospettive future per il lavoro e dall’altro una pronta risposta al nuovo contesto competitivo che si trasforma in una revisione dei modelli organizzativi e delle scelte in termini di competenze e strategie formative. Le modalità di lavoro, indipendentemente da nuove disposizioni, vedranno crescere, per circa l’80% del campione, il ricorso allo smart working, con una ricaduta importante sulle competenze e abilità richieste ai lavoratori: non solo competenze digitali, ma anche il saper lavorare in autonomia e per obiettivi.

Il lavoro da casa sperimentato nel lockdown diventa un banco di prova per il futuro. Perché diventi reale smartworking con benefici per l’impresa, e non determini un danno alla produttività come ritiene il 65,1% degli intervistati o generi un danno al clima aziendale (73,0%), richiede una diversa cultura organizzativa, oltre a un’adeguata dotazione tecnologica. Non solo lavoratori responsabili che sappiano gestire in modo autonomo il proprio tempo e il raggiungimento degli obiettivi (d’accordo l’87,1% degli intervistati), ma anche un’organizzazione del lavoro, e quindi un management, che sappia superare la logica del controllo fisico a favore di un nuovo modello (74,2%) basato su fiducia e definizione di risultati da raggiungere (e sui cui essere giudicati).

Smart working, il ruolo delle soft skill

La crisi sanitaria, con il suo forte impatto sulle imprese, ha messo al centro più che mai il ruolo delle competenze soft per rispondere a un processo di sviluppo che appare sempre meno lineare in cui per gestire il rischio connesso a tale incertezza è necessario un forte pensiero strategico. Le organizzazioni, per gestire questi rischi e questo costante processo di cambiamento, ricercano lavoratori che siano portatori di un mix di competenze (lavori ibridi) nel quale accanto alle conoscenze tecniche (più importanti per il 23,8% degli intervistati) e digitali (30%) cresce l’importanza delle abilità traversali. Oggi e in futuro serviranno sempre più lavoratori “resilienti” che sappiano gestire situazioni e problemi nuovi e imprevisti (43,7%), che sappiano farsi carico di attività nuove e sfidanti (40,5%) e autonomi (40,9%). Chi si presenta oggi a un colloquio dovrà aggiungere queste caratteristiche al suo bagaglio di competenze tecniche e professionali.
Allo stesso tempo saranno necessari manager capaci di gestire nuove modalità organizzative, dove viene meno il controllo, riuscendo a coinvolgere, stimolare e gestire lavoratori da remoto, con elevati gradi di autonomia.

Nel corso del 2020, le imprese del Nordest, tra cui il 58% ha subito un periodo più o meno lungo di sospensione dell’attività durante il lockdown, hanno dovuto rivedere in parte le proprie strategie riguardo al capitale umano, tanto che il 42,8% indica la necessità di una revisione completa della propria organizzazione di lavoro. Minoritaria, in ragione del persistere del divieto, la quota di chi indica l’intenzione di attuare licenziamenti non previsti (8,1%), sebbene in prospettiva, stante l’attuale condizione di incertezza, gli imprenditori nel 90% dei casi si attendono una crescita degli stessi. Per rispondere alla riduzione dell’attività il 18,1% è stato costretto a non rinnovare i contratti in scadenza, mentre per rispettare le normative e per garantire una maggiore sicurezza dei propri dipendenti il 29,3% ha previsto un maggior ricorso allo smartworking. Infine, quattro imprese su dieci hanno ritenuto opportuno avviare nuove attività formative.

L’impatto dell’emergenza sanitaria sui progetti di formazione

La nuova situazione ha reso necessario anche una rimodulazione della attività formative per i lavoratori dell’azienda. Un quarto delle imprese le ha dovute sospendere, mentre un’impresa su dieci ne ha programmate di nuove e il 30% ha confermato quelle già programmate, dove possibile utilizzando una modalità di e-learning (35,5%). Tra i destinatari della formazione in tempi di Covid prevalgono i nuovi assunti (coinvolti dal 26,7% delle imprese) e i lavoratori che altrimenti dovrebbero essere messi in cassa integrazione (23,9%). Le tematiche affrontate confermano come in questo momento sia necessaria anche nella formazione una visione che affronti l’emergenza, nuove competenze per gestire i cambiamenti (73,2%) e la sicurezza (70,6%), e un’attenzione ai nuovi fattori di competitività; autonomia, imprenditorialità, in generale competenze trasversali (44,7%). Nei casi in cui sono stati coinvolti i manager, la nuova formazione ha riguardato soprattutto le modalità di lavoro da remoto, utili a favorire una corretta applicazione dello stesso.

Uno sguardo al futuro

Infine, guardando alle prospettive occupazioni del lavoro nei prossimi sei mesi, le imprese intervistate mettono in luce gli ambiti economico-produttivi e i lavoratori che più avranno difficoltà o, viceversa, migliori opportunità. Sul primo versante gli imprenditori prevedono una riduzione occupazionale per turismo (80,8% di imprenditori che prospettano una diminuzione), moda (65,2% abbigliamento-calzature, tessile 64,9%), automotive (61,3%), commercio (53,7%), legno-arredo (50,6%) e minori occasioni occupazionali per i giovani (70,5%), penalizzati da mancanza di esperienza. Infatti, gli imprenditori intervistati ritengono che nei prossimi mesi saranno favoriti i lavoratori portatori di esperienze pregresse (68,7%), oltre a coloro che hanno una formazione significativa in ambito digitale (87,8%). Gli ambiti produttivi che, invece, offriranno nuove occasioni occupazionali saranno per gli intervistati: il farmaceutico (in crescita per 78,2%), il digitale (72,5%), la sanità (72,3%), la logistica (46,3%).

Per far fronte a tale situazione critica che penalizza allo stesso tempo lavoratori e imprese, le aziende auspicano allo stesso tempo politiche di ristoro, così come azioni proattive che pongano le condizioni per affrontare mesi ancora difficili. In particolare, nel permanere del blocco dei licenziamenti, il 70,4% degli imprenditori ritiene necessaria la proroga della CIG ordinaria e straordinaria, durante la quale, tuttavia, sarebbe auspicabile per il 75,6% degli intervistati che i lavoratori svolgessero delle attività di formazione utili a renderli pronti alle nuove esigenze del mercato del lavoro. Inoltre, le imprese ritengono auspicabili anche incentivi all’assunzione dei giovani (90,0%), categoria che abbiamo visto a rischio nei prossimi mesi, e una riduzione dei limiti alla stipula dei contratti a termine (62,9%).

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