IL PROVVEDIMENTO

Smart working, si lavora alla direttiva sul diritto alla disconnessione

Allo studio dell’Europarlamento uno schema applicabile ai lavoratori di aziende pubbliche e private. Si punta ad elaborare standard comuni che assicurino protezione a chi lavora in modalità “digitale”

Pubblicato il 08 Set 2020

smart home- smart working

L’Europa spinge sul diritto alla disconnessione. Allo studio del Parlamento europeo c’è infatti una direttiva ad hoc applicabile a chiunque – pubblico e privato – utilizzi strumenti digitali. La possibilità di “staccare” dallo smart working e i sempre più sfumati confini tra lavoro e vita privata sono stati al centro delle discussioni della Commissione occupazione e affari sociali del Parlamento europeo.

Gli europarlamentari stanno discutendo standard comuni che assicurino protezione per i lavoratori del mondo digitale. Il voto in Commissione sul tema è previsto per dicembre.

Il dibattito in Italia

Nei mesi scorsi, ala fine del lockdown quando si è iniziato a dibattere dello smart working come strumento per affrontare le sfide poste del new normal, il ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Giuseppe Provenzano, aveva sottolineato la necessità di innovare le regole di un mercato del lavoro in profonda evoluzione.

“Dobbiamo pensare a un nuovo Statuto dei lavoratori, un codice del lavoro molto semplificato che estenda tutele ai lavoratori che oggi non ne hanno – spiegava – C’è anche il tema di come regolare lo smart working, il diritto alla disconnessione e la conciliazione dei tempi di vita”.

Già nella legge 81 del 2017 si parla di diritto alla disconnessione, rimandando però agli accordi individuali o collettivi in azienda l’adozione di “misure tecniche e organizzative necessarie” ad assicurarlo. In questi anni alcune grandi aziende hanno garantito questo diritto, applicandolo per esclusione: viene stabilita una fascia oraria in cui il lavoratore è reperibile, al di là si quell’orario resta inteso che non lo sia.

Nei mesi di emergenza, il ricorso massivo e improvviso a modalità di lavoro agile ha naturalmente aperto nuovi fronti da presidiare, come quelle del benessere del lavoratore e della tutela dei dati. Secondo un report stilato da Linkedin lavorare da casa, per il 48% del campione analizzato, si è tradotto in un surplus nel carico di lavoro. Quasi un italiano su due ha lavorato almeno un’ora in più al giorno: sviluppando il dato, si scopre come ci sia stato un eccesso di 20 ore lavorate in più in un solo mese di smart working.

Il quadro descritto da Linkedin non è molto dissimile da quello disegnato dallo studio  Cgil-Fondazione Di Vittorio che rileva, anch’esso, un rischio burnout anche legato alla mancanza di regole certe sulla disconnessione. Nel 37% dei casi il lavoro agile è stato attivato in modo concordato con il datore di lavoro; nel 36% dei casi in modo unilaterale dal datore di lavoro; nel 27% dei casi in modo negoziato attraverso l’intervento del sindacato.

“Gli strumenti che abbiamo sono il contratto collettivo nazionale e il contratto aziendale – ricorda il segretario generale della Cgil Maurizio Landini – Nei nuovi contratti vanno affrontate tutte le questioni e i problemi che sono emersi sull’applicazione dello smart working, dalla formazione al diritto di disconnessione. Prevedere pause, fare distinzioni tra lavorare il giorno e la notte, di sabato e festivi, sui mezzi da utilizzare, evitare le discriminazioni di genere: bisogna allargare la contrattazione e fare in modo che tutte le modalità di lavoro, compreso lo smart working, siano regolamentate”.

A giugno, nella sua ultima Relazione al Parlamento l’allora Garante Privacy, Antonello Soro aveva sottolineato la necessità di garantire il diritto alla disconnessione, “senza cui – diceva – si rischia di vanificare la necessaria distinzione tra spazi di vita privata e attività lavorativa: annullando così alcune tra le più antiche conquiste raggiunte per il lavoro tradizionale”.

Il parere dell’esperto

Intervistato da CorCom, Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano e Presidente di P4I, società di advisory del gruppo Digital360, ha sottolineato invece che per vincere le sfide del new normal servono norme soft. Che non vadano a snaturare il principio cardine dello smart working che è appunto la volontarietà, non un diritto o una concessione, ma un “accordo individuale”.

Normare a priori i temi di connessione o disconnessione è un approccio che rimanda al telelavoro che allo smart working, che invece prevede deve prevedere autonomia e flessibilità anche sul fronte dell’orario – spiegava – È chiaro che affermare il diritto del lavoratore a non dover costantemente connesso è sempre importante, ma il modo con cui si traduce questo diritto deve essere diverso. In generale un elemento fondamentale dello Smart Working deve essere la “non omologazione”, gli accordi devono restare “individuali”, per poter essere personalizzati in funzione delle esigenze specifiche dell’azienda e di ciascuna persona.

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