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Smart working, Orlando: “In cantiere una task force per le nuove norme”

L’annuncio del ministro del Lavoro: “Dobbiamo raccogliere e sistematizzare le esperienze più virtuose che si sono realizzate tra le parti sociali”. Focus su contrattazione, diritto alla disconnessione e gender gap

Pubblicato il 24 Mar 2021

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Smart working priorità del governo. Incontrando la stampa estera, il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha delineato la strategia. “Sullo smart working – ha detto – dobbiamo raccogliere le esperienze più virtuose che si sono realizzate sul fronte della contrattazione tra le parti sociali. Sicuramente istituiremo un gruppo di lavoro per sistematizzare queste esperienze e dare riferimenti normativi che attualmente mancano“.

Non sarà però un percorso facile. Orlando si trova tra l’incudine e il martello ovvero tra i sindacati che puntano a regolamentazione a livello di contrattazione collettiva nazionale e le imprese: per queste ultime la regolazione va lasciata agli accordi di secondo livello per evitare di ingabbiare la modalità di lavoro in norme troppo stringenti che ne andrebbero ad inficiare la natura, appunto, “agile”.

Altro punto chiave riguarda il diritto alla disconnessione. Anche qui il governo dovrà trovare un punto di caduta: per i sindacati è una tutela imprescindibile per proteggere i lavoratori mentre le imprese evidenziano il fatto che lo smart working prevede attività per obiettivi e non su orario. Quindi nulla quaestio. È pur vero però troppo spesso il confine tra queste due modalità è labile, per questo Cgil, Cisl e Uil vorrebbero una definizione puntuale.

Il protocollo Asstel-sindacati sullo smart working

Una bussola potrebbe essere il protocollo firmato tra Asstel e i sidacati firmato a luglio  2020. I Princìpi e Linee Guida contenuti nel Protocollo costituiscono un sistema organico di intese volte alla tutela della salute dei lavoratori, al miglioramento dei risultati aziendali e della qualità della vita delle persone, attraverso il ricorso a modelli organizzativi in grado di adattarsi alle esigenze del lavoro e dei lavoratori, valorizzando le professionalità e la produttività delle persone, al fine del continuo miglioramento della qualità del servizio reso.

Il Protocollo tiene conto dell’impatto sulla sostenibilità ambientale che l’adozione di questa modalità di lavoro può avere nel tempo e conferma l’attenzione alla questione di genere e di gestione dei tempi di vita e di lavoro. Infine, particolare interesse è stato rivolto all’esercizio dei diritti sindacali e al riguardo le parti hanno convenuto che il lavoro agile non modifica il sistema di diritti e libertà sindacali, individuali e collettivi. Le parti hanno così riaffermato il ruolo della contrattazione collettiva nell’indirizzare e accompagnare le trasformazioni in atto nella filiera, fortemente impattata dall’innovazione tecnologica.

La proposta di Inapp

Sulla necessità di avere un contratto nazionale è intervenuta anche Inapp. Secondo il presidente Sebastiano Fadda, “è necessario un intervento quadro del governo all’interno del quale si possano disegnare modalità organizzative aderenti all’evoluzione delle tecnologie e alle competenze dei lavoratori nelle diverse realtà produttive”.

“Se prima della pandemia infatti il lavoro agile si basava su un accordo individuale (tra azienda e singolo lavoratore) –  spiega Fadda –  adesso non è pensabile tornare indietro ma serve pianificare un ‘nuovo’ smart working che vada oltre l’emergenza del coronavirus. Occorre introdurre nelle aziende, e man mano anche nei contratti di lavoro collettivi, regole comuni per dare a tutti le stesse opportunità ed eliminare quelle diseguaglianze, generazionali e di genere, che il Covid-19 ha reso ancora più manifeste”.

Prima del coronavirus lo smart working era un fenomeno residuale, ve ne facevano ricorso appena 570mila lavoratori, nella fase più acuta della pandemia, in pieno lockdown, sono stati oltre 8 milioni gli italiani che hanno dovuto cambiare il modo di lavorare, con circa 5 milioni nel settore privato mentre per la pubblica amministrazione è stato quasi il totale. In Italia si è fatto poi soprattutto telelavoro: vale a dire lo svolgimento da remoto delle stesse mansioni che si facevano in ufficio.

“La politica deve avere un ruolo di regia, stabilire una cornice di diritti e di regole quali il diritto alla disconnessione, la fornitura degli strumenti di lavoro, le tempistiche. Una delle possibilità – evidenzia – è quella di differenziare le modalità settore per settore, tenendo conto delle specificità; i servizi bancari, per esempio, non hanno le stesse problematiche del manifatturiero”.

Il nodo del gender gap

Altro tema cruciale che il governo è chiamato ad affrontare è quello del gender gap. Secondo uno studio della Cgil e della Fondazione Di Vittorio il lavoro agile è stato uno strumento di discriminazione tra uomini e donne sul lavoro: il 45% dei partecipanti al questionario (oltre 6.000 persone, 65% donne, 35% uomini con una distribuzione geografica e per fasce d’età in linea con il panorama lavorativo italiano) ha dichiarato che il lavoro da casa non era cambiato rispetto a quello che svolgeva in ufficio e per il 51% i carichi di lavoro sono rimasti uguali con un ulteriore 29% per il quale sono invece aumentati.

Anche le discriminazioni uomo/donna sembrano non essere cambiate. Se il 48% degli uomini durante il lockdown disponeva di un computer aziendale, non così per le donne ferme al 42%. Dato che con gli smartphone registra una forbice persino maggiore: il 41% dei maschi dichiara di averne uno aziendale contro il 25% appena delle donne. E nel rapporto con i superiori da remoto, sono soprattutto le donne ad averne registrato un peggioramento nella qualità.

E ancora secondo le ricerche di Inapp lo smart working ha favorito i redditi alti e gli uomini.

“Per superare questo gap si deve investire su politiche di diffusione delle nuove tecnologie in tutte le attività produttive e di formazione professionale per acquisire le appropriate competenze- fanno sapere da Inapp – Inoltre si deve ridurre la segmentazione e la discriminazione nei mercati del lavoro”.

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