Proroga al 31 dicembre 2021 per lo smart smart working semplificato nel settore privato. Lo prevede un emendamento del ministero del Lavoro al decreto Riaperture, attualmente all’esame della Camera, che lo estendeva fino al 31 luglio.
La procedura semplificata consente ai dati di lavoro di attivare lo strumento con un atto unilaterale, senza sottoscrivere un l’accordo individuale così come previsto dalla legge istitutiva dello smart working, la n. 81 del 2017.
“Le difficoltà per le aziende non termineranno il 31 luglio con la fine dello stato emergenziale – ha spiegato la sottosegretaria al Lavoro, Tiziana Nisini – Ci sono molte imprese ancora in grande difficoltà e per questo c’è bisogno di flessibilità. L’emendamento che proroga la normativa semplificata sul lavoro agile fino a dicembre è giusto, anche perché si lega con il piano vaccinale che sta procedendo bene. Dopo l’estate si spera di raggiungere l’immunità di gregge. Dobbiamo dare il tempo a imprese e lavoratori di organizzarsi, senza eccedere nella burocrazia”.
Smart working, come funziona la procedura semplificata
Fino a fine anno, stabilisce l’emendamenro al dl Riaperture, i datori di lavoro privati possono applicare la modalità di lavoro agile a ogni rapporto di lavoro subordinato e senza bisogno di redigere un accordo individuale con i lavoratori. Gli obblighi di informativa in materia di sicurezza sul lavoro possono essere assolti online, utilizzando la documentazione disponibile sul sito Inail.
Il Ministero del lavoro ha reso disponibile dei moduli da compilare online con seguenti dati: codice fiscale del datore di lavoro; codice fiscale del lavoratore e suoi dati anagrafici; posizione assicurativa territoriale Inail; data di inizio e di fine del periodo di lavoro agile.
L’accesso all’applicativo informatico da utilizzare per l’invio della comunicazione è consentito tramite Spid.
La comunicazione va effettuata entro il giorno antecedente a quello di inizio della prestazione agile mentre la mancata comunicazione comporta una sanzione amministrativa da 100 a 500 euro per ogni lavoratore.
Lo studio dei consulenti del lavoro sul lavoro agile
Lo smart working divide gli italiani, condizionati dalle modalità con cui è stata vissuta l’esperienza e, soprattutto, dal contesto familiare e domestico in cui si è svolta (7,3 milioni ad aprile 2021). Il bilancio è positivo sul fronte dell’aumentata possibilità di conciliare i tempi di vita e di lavoro ma, insieme, emergono criticità che possono avere effetti anche sul clima aziendale e sulle relazioni di lavoro, fino ad arrivare alla disaffezione. È quanto emerge dal capitolo “Smart working, una rivoluzione nel lavoro degli italiani”, contenuto nel Rapporto “Gli italiani e il lavoro dopo la grande emergenza” del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro.
Il 16,7% dei lavoratori intervistati guarda allo smart working come un punto di non ritorno della propria vita professionale; oltre il 10,7% cercherebbe un qualsiasi altro lavoro pur di svolgerlo da casa. Il 43,5% si adatterebbe al ritorno in ufficio, ma 4 su 10 sarebbero contenti di tornare a lavorare tutti i giorni in presenza. L’esperienza dell’ultimo anno è stata, infatti, vissuta in modo molto diverso da giovani e adulti, da lavoratori con figli e senza.
In termini relazionali e di carriera gli uomini sembrano aver patito maggiormente il lavoro da casa (52,4% contro 45,7% delle donne), guadagnando però in produttività e concentrazione. Viceversa, le donne hanno sofferto l’allungamento dei tempi di lavoro (57% contro il 50,5% degli uomini) e l’inadeguatezza degli spazi casalinghi (42,1% contro 37,9%), evidenziando un maggior rischio di disaffezione verso il lavoro (44,3% rispetto al 37% dei colleghi).
Ma se lo smart working ha permesso 6 volte su 10 di conciliare meglio professione e vita privata, non è stato così per chi aveva maggiori carichi familiari. In primis le coppie, il cui work-life balance è peggiorato per il 43% del campione. Ma l’home working ha avuto anche ricadute pratiche, in termini di spesa e disturbi fisici legati a postazioni domestiche inadeguate. Il 71,1% dichiara di aver diminuito le spese per spostamenti, vitto e vestiario, investendo in consumi legati al tempo libero nel 54,7% dei casi, ma il 48,3% paga il conto per l’utilizzo di sedie e scrivanie improvvisate e il 39,6% lamenta l’inadeguatezza degli spazi e delle infrastrutture, come i collegamenti di rete.
L’indagine, in sostanza, conferma, da una parte, un maggiore ricorso al lavoro agile tra i lavoratori più qualificati e le grandi aziende (terziario, servizi alle imprese, credito e assicurazioni) e, dall’altra, una resistenza legata ad una cultura organizzativa del lavoro orientata ancora su modelli tradizionali. Al centro i lavoratori sotto i 35 anni, per i quali non si può più tornare indietro.
I dati Eurostat sullo smart working
Le misure di allontanamento sociale introdotte in risposta alla pandemia Covid-19 hanno costretto molte persone a lavorare da casa. Nel 2020, il 12,3% degli occupati di età compresa tra 15 e 64 anni nell’Ue ha lavorato da casa: la quota era invece rimasta costante intorno al 5% negli ultimi dieci anni. L’Italia, tuttavia, non si distingue. Secondo i dati divulgati da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, il nostro Paese si posiziona immediatamente al di sotto della media europea, in tredicesima posizione. La percentuale italiana di lavoratori da casa si attesta infatti al 12,2%, preceduta dall’Estonia e seguita dalla Spagna.
Secondo i dati Eurostat pubblicati in occasione della Giornata mondiale delle telecomunicazioni e della società dell’informazione (Itu), si registrano tendenze diverse a seconda dell’età e del sesso dei lavoratori, quando si parla di lavoro da casa. Nel 2020 una quota maggiore di donne (13,2%) ha riferito di lavorare abitualmente da casa rispetto agli uomini (11,5%).
Rispetto ad altre fasce di età, inoltre, nel 2020 i giovani avevano meno probabilità di lavorare da casa: solo il 6,3% di quelli di età compresa tra 15 e 24 anni ha riferito di lavorare abitualmente da casa, rispetto al 13,0% di quelli di età compresa tra 25-49 e il 12,4% di quelli di età compresa tra 50 e 64 anni.
Secondo i dati Eurostat pubblicati in occasione della Giornata mondiale delle telecomunicazioni e della società dell’informazione (Itu), si registrano tendenze diverse a seconda dell’età e del sesso dei lavoratori, quando si parla di lavoro da casa. Nel 2020 una quota maggiore di donne (13,2%) ha riferito di lavorare abitualmente da casa rispetto agli uomini (11,5%).
Rispetto ad altre fasce di età, inoltre, nel 2020 i giovani avevano meno probabilità di lavorare da casa: solo il 6,3% di quelli di età compresa tra 15 e 24 anni ha riferito di lavorare abitualmente da casa, rispetto al 13,0% di quelli di età compresa tra 25-49 e il 12,4% di quelli di età compresa tra 50 e 64 anni.