In Europa cresce il numero di donne impiegate nei settori della Scienza e della Tecnologia. Secondo i dati Eurostat a fine 2021 erano circa 74 milioni le persone di età compresa tra i 15 e i 74 anni occupate in quei settori, con un aumento del 3% in un anno. Di questi 74 milioni, il 52% erano donne con un aumento del 4% dal 2020 al 2021 e del 26% dal 2011.
In dieci anni la percentuale è cresciuta di quasi 15 punti (14,8%) l’equivalente di +1,2 milioni di donne. Il numero di uomini invece è aumentato del 10,8%.
Tra i Paesi la quota più elevata di donne occupate nel settore scientifico e tecnologico è in Lettonia e Lituania con il 63%, seguite dalla Grande Pianura e dal Nord dell’Ungheria, dalla regione centrale della Polonia, dalla Sassonia-Anhalt in Germania e dalla Bulgaria settentrionale e sudorientale (tutte al 61%). Le isole portoghesi delle Azzorre e l’Estonia registrano una quota di occupate del 60%.
Fanalino di coda Malta con il 44%, seguita dalle regioni italiane del Sud (46%) e poi dai Paesi Bassi con il 47%.
La ricerca di Mastercard
In aumento in tutto il mondo anche il numero di donne che fanno impresa, come rilevato dal Mastercard Index of Women Entrepreneurs (Miwe). Il report ha analizzato i progressi delle donne imprenditrici in 65 paesi nel mondo che rappresentano l’82,4% della forza lavoro femminile globale ed evidenzia il contributo socioeconomico delle donne imprenditrici, oltre a fornire informazioni chiave sui fattori che guidano e ostacolano il loro successo.
Nel panorama imprenditoriale le donne sono una delle risorse più preziose dell’economia globale e, nonostante costituiscano la metà della popolazione mondiale, possiedono solo un quinto delle aziende esportatrici. Inoltre, l’80% delle imprese con donne nel ruolo di proprietarie e con necessità di credito vedono le loro necessità poco se non per nulla corrisposte. A ciò si aggiunge che il contributo delle donne all’economia è significativamente sottorappresentato nei report e negli indici sulle startup e sugli scenari economici.
Nonostante i risultati della ricerca mostrino come l’occupazione femminile sia cresciuta in 14 delle economie prese in esame, i dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro mostrano un calo dell’occupazione femminile del 5% rispetto al 3,9% degli uomini. Malgrado, infatti, siano stati molti gli sforzi per mitigare l’impatto della pandemia negli ultimi due anni, il COVID-19 ha avuto un impatto enorme sulle donne. Ciò fa emergere quanto sia reale il rischio di annullare decenni di progressi verso il raggiungimento della parità di genere sul posto di lavoro e negli affari, aggiungendo ulteriori 36 anni al tempo stimato necessario per chiudere il divario di genere a livello globale (World Economic Forum – The Global Gender Gap Report 2021).
Gli Stati Uniti, la Nuova Zelanda e il Canada sono in testa alla classifica, spinti da forti punteggi in tutte e tre gli ambiti d’analisi: risultati del progresso delle donne, patrimonio di conoscenze e accesso finanziario e condizioni favorevoli all’imprenditoria. Questi paesi forniscono le condizioni ideali per facilitare l’accesso delle donne al supporto finanziario e ai servizi, oltre a promuovere e sostenere la loro capacità di avviare, operare e prosperare nelle attività imprenditoriali. Le donne in questi mercati vantano un’importante quota di proprietà delle imprese, grazie a condizioni favorevoli come l’elevata qualità della governance, un atteggiamento sociale e culturale positivo e un vivace dinamismo imprenditoriale.
Overview sull’Italia
Secondo i risultati dell’Index l’Italia perde tre posizioni in classifica collocandosi al 43° posto, con un punteggio di 52.3 (in calo rispetto allo scorso anno: 55).
Pur posizionandosi infatti come una ‘high-income economy’, i principali dati emersi dal report indicano che la sua performance è inferiore al benchmark di riferimento dell’indice Miwe. Ne deriva che, nonostante un lieve miglioramento nelle componenti di analisi ‘conoscenze e accesso finanziario’ (61.4 vs 60 dello scorso anno) e ‘sostegno all’imprenditoria’ (62.2 vs 60.9 dello scorso anno), l’Italia si conferma solo 58a per ‘general access to finance’, 40a per supporto governativo alle Pmi e 57a per disponibilità di venture capital nel Paese.
Complessivamente, quindi, c’è ancora molta strada da fare da parte dell’Italia per consentire alle donne imprenditrici di affermarsi.
Tuttavia, alcuni segnali positivi arrivano dalle condizioni al supporto dell’ imprenditoria femminile (dove l’Italia sale dal 26° al 20° posto) e nel tasso di donne leader d’impresa (passando dalla 29a alla 24a posizione).
Colpisce positivamente, infine, come la percentuale delle donne attualmente impiegate in ambito tech (46%) non sia molto distante da quella degli uomini (54%), a ulteriore conferma della validità delle politiche nazionali e locali volte al miglioramento delle competenze professionali e all’aumento della partecipazione delle donne nel settore tecnologico.
Il report di Confcommercio
Secondo l’indagine sulle imprese femminili realizzata da Terziario Donna Confcommercio, in collaborazione con il Centro Studi delle Camere di Commercio “Guglielmo Tagliacarne”, le imprese femminili, quasi 1 milione e 400 mila in Italia, hanno subìto un calo di iscrizioni del 12,1% nel 2021, comunque meno peggio del -21% dell’anno precedente. Queste imprese sono più fragili rispetto a quelle maschili, hanno scarsa diversificazione produttiva, bassa internazionalizzazione e sono poco innovative, anche se quelle giovanili fanno ben sperare.
Le donne in generale sono più istruite degli uomini: nel 2020 il 65% delle donne risultano diplomate o laureate contro il 60,5% degli uomini, ma il tasso di occupazione femminile è molto più basso di quello maschile, il 53,9% contro 73,3%.
Tra i laureati, il 24,9%, tra 25 e 34 anni, ha una laurea nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche, le cosiddette lauree Stem: di questi il 36,8% sono uomini, 17,0% donne con un divario di genere molto rilevante. Ciononostante, per la componente femminile l’incidenza delle discipline Stem nel nostro Paese è superiore a quella registrata nella media Ue22 e negli altri grandi paesi europei. Il divario di genere nella scelta delle discipline tecnico-scientifiche è dunque meno marcato in Italia rispetto al resto d’Europa.
La consapevolezza dell’importanza del colmare il gap in queste discipline emerge nelle risposte delle intervistate da Terziario Donna: la quota di coloro che ritengono molto importante investire nelle Stem per le imprenditrici è infatti del 48,5%, superiore più di 10 punti rispetto a quanto rilevato per gli imprenditori (38,1%). Per quanto riguarda la formazione in generale oltre 7 su 10 delle imprenditrici intervistate intendono investire soprattutto nei temi del digitale e nelle competenze manageriali e di gestione di impresa. Il 14,7% punta ad accrescere le conoscenze in materie di credito e finanza e il 14,1% su temi e competenze green e sostenibilità.
Nel caso della formazione dei dipendenti spicca il tema delle specifiche competenze tecnico-professionali, ancor più per le donne rispetto agli uomini (66,3% contro 60,2%). Segue nuovamente il tema delle competenze digitali (22,3% per le imprese femminili, 22,8% per le maschili) e quindi la formazione in ingresso di lavoratori specializzati (8,2% contro 11,4%). E’ molto più bassa la quota relativa alla transizione ecologica, più sentita per la formazione dell’imprenditore (probabilmente per meglio entrare nei temi), piuttosto che per quella rivolta ai dipendenti (3,2% per le imprese femminili, 5,7% per le maschili). La questione del passaggio generazionale è un tema che sembra riguardare meno le imprese femminili terziarie rispetto alle maschili: la quota di coloro che non lo considerano in previsione è infatti del 66,4% contro il 55,3% rilevato per le imprese a prevalenza di conduzione di uomini.
“La diffusione delle materie Stem fra le donne e della formazione in generale costituiscono uno dei cinque pilastri da fortificare, insieme, all’identità, il credito, l’innovazione e la sostenibilità, che Terziario Donna ha individuato per consentire alle donne imprenditrici di contribuire all’Economia della Rinascita del nostro Paese – dice Anna Lapini, presidente di Terziario Donna Confcommercio – Solo se si creeranno condizioni di partenza eque e si forniranno a ciascun individuo, a prescindere dal suo genere, gli strumenti necessari a valorizzare il proprio potenziale si creerà una società ed una economia più sana e più giusta”.