Burrasca in arrivo sul neo-insediato ministro dello Sviluppo e del Lavoro Luigi Di Maio. All’indomani dell’annuncio di volersi tenere le deleghe sulle Tlc si profila un ciclone nel cui “occhio” c’è il nuovo piano di assegnazione frequenze in via di approvazione da parte di Agcom. Ma la posta in gioco è in realtà più alta: punta dritta al cuore della legge di Bilancio 2018 che disciplina modalità e ambiti del percorso italiano verso il 5G.
A pochi mesi dall’asta che dovrà far incassare complessivamente almeno 2,5 miliardi allo Stato – particolarmente utili in tempi di programmi Flat Tax e reddito di cittadinanza – i broadcaster italiani nazionali affilano le armi minacciando di smontare il complesso passaggio richiesto all’Italia in vista del nuovo standard mobile. E di mandare all’aria le gare che partiranno a settembre.
Le Tv nazionali – aderenti peraltro a Confindustria Radio Tv – in prima fila Rai, Mediaset, La7, Retecapri – a quanto risulta a Corcom sembrano determinate a impugnare la delibera Agcom sul piano frequenze, rivendicando più spazi nello spettro radio e un approccio condiviso nel processo di “switch off”: l’authority si prepara ad approvare la delibera nel corso del prossimo Consiglio dell’authority fissato per il 27 giugno. Documento complesso, preceduto da una serie di audizioni, su cui però la stessa Agcom sembra determinata – pur approvandolo – a farsi portavoce presso il Governo di una serie di “criticità”: non a caso l’autorità ha preso tempo rimandando l’approvazione (era all’ordine del giorno del Consiglio del 6 giugno) così da poter elaborare un documento da presentare al nuovo ministro.
Non solo: secondo quanto riporta la Repubblica Mediaset (il 28 maggio) e Cairo Network (il 5 giugno) hanno depositato un ricorso al Tar del Lazio per chiedere l’annullamento della delibera Agcom 137 (avvia la definizione di un nuovo piano frequenze). In più Cairo ha depositato un secondo ricorso, stavolta contro lo schema di decreto del Mise che stabilisce la road map della liberazione della banda 700Mhz.
L’impugnazione “collettiva” minacciata dalle emittenti della delibera Agcom rischia di avere un effetto domino su alcuni pilastri della legge di Bilancio. Non va giù ai broadcaster italiani che per far posto al 5G, in particolare sulla fascia 470-694 Mhz dello spettro radio (la banda 700 Mhz), dovranno “stringersi” abbandonando entro il 2022 circa la metà dei multiplex che avevano a disposizione e spostarsi sulla banda “sub-700”. Percorso complicato al termine del quale le emittenti potranno contare solo su una parte delle “vecchie” frequenze (alcune andranno condivise). Potranno però avvalersi di una uguale o maggiore capacità trasmissiva grazie all’adozione graduale delle nuove tecnologie di compressione del segnale: un “scambio” molto poco gradito e anzi identificato come un “esproprio” che vanificherebbe la durata delle licenze d’uso delle frequenze in mano ai broadcaster fino al 2032. Le emittenti dunque mettono in dubbio che il panorama televisivo italiano rimanga “intatto” – stando alla legge – quanto a offerta, qualità e business.
In particolare un punto nevralgico è rappresentato dal “Mux 1” – dovrà ospitare i programmi regionali Rai oltre a una parte delle Tv locali – la cui ristrutturazione dovrebbe secondo il timing stabilito dal governo concludersi anch’esso per il 2022. Ma nel mirino le criticità indicate dai broadcaster sono molteplici: mancanza di indicazioni dettagliate per l’evoluzione tecnologica verso i nuovo standard di compressione, tutele per le Tv locali che dovranno lasciare le frequenze, costi di trasformazione degli impianti. “Non si può perdere ancora valore” è il mantra che ispira l’azione legale: “Vogliamo un tavolo a cui siedano tutti, le industry e il governo”. L’obiettivo è un “compromesso condiviso”.
Ora tocca al nuovo governo sciogliere i nodi di una partita in cui l’Italia è da poco tornata in possesso del gioco. L’orologio del 5G non si ferma per il nostro Paese: il rischio è un balzo indietro, rispetto all’Europa e al mondo.