Scongiurare il rischio di una riduzione dei ricavi delle tv a favore degli Ott e creare regole light, ma compatibili con il quadro tecnologico, valide per tutti i concorrenti. Dopo la presentazione del risultati dell’indagine conoscitiva sull’audiovisivo, parla il commissario Agcom, Antonio Martusciello.
Agcom ha appena concluso l’indagine conoscitiva sull’audiovisivo. Quali sono le criticità e quali le “tendenze” italiane di fronte all’irruzione degli Ott?
L’indagine conoscitiva è stata realizzata mediante un’analisi su tre livelli a cui è stato aggiunto un benchmark con i principali paesi europei: il primo relativo all’attuale quadro normativo e regolamentare, il secondo relativo alla situazione economica-finanziaria di produttori, il terzo alle dinamiche relazionali e commerciali tra gli stessi produttori e le emittenti. I tre livelli appaiono ovviamente intersecati: norme non più compatibili con l’assetto economico e tecnologico comportano una minor competitività del settore televisivo e un mercato della produzione nazionale estremamente frammentato, sotto-capitalizzato e troppo dipendente dagli stessi broadcaster. La risposta italiana rispetto ad internet e agli Ott è stata di difesa delle posizioni acquisite piuttosto che di investimento in attività innovative. Solo alcuni broadcaster hanno lanciato con alterne fortune servizi assimilabili agli Ott, perlopiù come servizio accessorio rispetto alla loro offerta principale. Solo pochi produttori sono in grado di realizzare film e serie televisive appetibili su scala internazionale e costituiscono delle autentiche eccellenze come riconosciuto anche dai successi in concorsi e festival internazionali.
Quali sono i rischi a cui andrebbe incontro il settore in assenza di nuove iniziative?
Il rischio per le emittenti è la riduzione progressiva dei ricavi a favore di nuovi player non soggetti alle medesime norme. Per i produttori la domanda di opere audiovisive su scala globale è in crescita, ma gli standard richiesti sono molto elevati e alla portata di poche imprese nazionali.
Chi si trova più a rischio in un regime di asimmetrie?
Da un lato sono i broadcaster tradizionali basati sul modello del two sided market che segna il passo rispetto alle nuove forme di remunerazione tipiche di internet (ad esempio la revenue share), dall’altro ci sono quei produttori che basano gran parte del proprio volume di affari sulle sole commesse delle emittenti nazionali, in un certo senso amplificate da un rigido sistema di quote e sotto-quote di investimento e sulle forme pubbliche di incentivo.
In vista di nuove azioni, regolamentari e di mercato, quali sono i target da raggiungere?
Per le emittenti televisive l’obiettivo è il raggiungimento di un level playing field non più garantito dall’attuale assetto al fine di poter competere ad armi pari. Sarà poi il consumatore a giudicare la qualità dell’offerta degli operatori. Per la produzione l’obiettivo è consolidare il settore verso un numero minore di imprese, di maggiori dimensioni per addetti e fatturato e con un elevato livello di autonomia dai broadcaster, con conseguente innovazione di prodotto e capacità di esportarlo. La stessa figura del produttore indipendente qualificata dall’attuale quadro normativo deve essere necessariamente rivista, tutelando le imprese che godono di reale autonomia decisionale e produttiva, indipendentemente dagli assetti proprietari. D’altra parte questo è l’assetto del Regno Unito indicato da tutti come esempio virtuoso. L’indagine conoscitiva ha avuto il pregio di individuare le misure realmente adottate dagli altri paesi e gli effetti conseguenti.
Riguardo le modalità per raggiungere l’auspicato level play field, non c’è il rischio di favorire le multinazionali Usa?
Il level playing field deve essere raggiunto a livello comunitario e non nazionale. La strategia del digital single market muove verso questo obiettivo ma si scontano ritardi legati al complesso iter decisionale dell’Unione europea. Basti pensare che l’attuale direttiva sui servizi di media audiovisivi è stata adottata nel 2007, a seguito di un lungo processo legislativo ed esclude dal campo di applicazione il principale servizio di fruizione di contenuti audiovisivi al mondo che è Youtube, online dal 2006. La direttiva sconta una logica legata alle specifiche del settore negli anni ’90, caratterizzato da scarse risorse trasmissive e da un ruolo sostanzialmente passivo dell’utente. E’ quindi estremamente prescrittiva. Oggi sono da preferire strumenti di soft law che risultano maggiormente compatibili ed efficaci con l’attuale quadro tecnologico, quindi regole meno rigide e più flessibili ma valide per tutti i concorrenti in un quadro comunitario ancora più armonizzato. Occorre tenere presente come misure più restrittive a livello nazionale rischiano solo di ampliare il gap competitivo con le imprese estere: un servizio come Netflix legittimamente serve il pubblico italiano ma è stabilito in un altro paese europeo senza vincoli a favore dell’industria italiana dei contenuti e quindi con una maggiore libertà nel predisporre il proprio catalogo.
Parliamo di bilanciamento del sistema di obblighi di investimento. Anche qui, non c’è un rischio “accaparramento” da parte di multinazionali dotate di potenza di fuoco?
Anche qui vi è un paradosso: gli obblighi di investimento sono molto onerosi per le emittenti nazionali ma nella maggior parte dei casi nulli per gli Ott. Occorre quindi equilibrare l’onere di promuovere la produzione audiovisiva nazionale e comunitaria, la cui centralità nel sistema non è in discussione, al fine di far rientrare anche i soggetti attualmente esclusi ma che concorrono sullo stesso mercato delle emittenti. In questo caso la “potenza di fuoco” delle multinazionali sarebbe disinnescata dall’innesto di un circolo virtuoso che consentirebbe al settore dell’audiovisivo europeo e nazionale di incrementare i propri ricavi e adeguare gli output produttivi alle eccellenze internazionali. L’obiettivo deve essere l’incremento dell’attuale livello di finanziamento in produzioni europee e nazionali mediante l’inserimento degli investimenti degli Ott con un conseguente alleggerimento della pressione sulle emittenti tradizionali. In tale scenario la competitività delle settore audiovisivo nazionale nei confronti della major Usa sarebbe prevedibilmente incrementata.
Come si muoverà Agcom alla luce dell’indagine?
L’indagine ha consentito innanzitutto all’Autorità di poter esercitare il proprio potere di segnalazione al Governo con una aumentata cognizione del settore. Inoltre l’Agcom ha potuto far valere questa esperienza nei tavoli comunitari aperti per il refit della direttiva Avms e presso l’Erga. L’Autorità è il soggetto naturalmente designato alla definizione del livello secondario di norme e alla relativa vigilanza, che in caso di auspicate misure di soft law riveste un ruolo ancor più importante. Le priorità sono un adeguamento dell’apparato di obblighi al fine di renderlo più flessibile e coerente con l’assetto del mercato e il disegno di legge recentemente presentato è l’occasione migliore. La stessa iniziativa legislativa consentirà di mettere in campo le forme di incentivo al settore più opportune. In tal senso l’estensione del tax credit ad opere diverse quali le serie televisive è un primo importante risultato. Andrebbero inoltre favorite forme virtuose di investimento in produzioni audiovisive quali il commissioning e le co-produzioni e tutelati i produttori che realmente svolgono tale attività anche mediante formule più vantaggiose per la gestione dei diritti secondari. Queste misure, adottate in altri paesi come il Regno Unito hanno avuto il pregio di favorire processi di integrazione orizzontale tra i produttori, incentivare la diversificazione strategica del loro prodotto e aumentare l’export In questo caso è stato rilevante il ruolo del regolatore britannico (Ofcom) il che testimonia l’importanza di un arbitro nei processi di interazione tra i vari stakeholder. Gli ostacoli principali sono rinvenibili nel rischio di cadere nella contrapposizione tra emittenti e produttori, evidenziata proprio nell’indagine, con la conseguente adozione di soluzioni non orientate alla crescita dei rispettivi settori ma esclusivamente al mantenimento di posizioni pregresse.