Blogger, la magnifica preda

Pubblicato il 27 Mar 2009

Facebook, stando agli ultimi annunci, conta più di 175 milioni di
utenti. Ovvero, la sua “popolazione” è più grande di quella
della Russia. A dire il vero, la sua popolazione lo renderebbe la
sesta nazione più popolosa del mondo.  È per questo, e solo per
questo, che  – anche se finora di ricavi se ne sono visti pochi –
Microsoft aveva valutato il più grande social network del mondo 15
miliardi di euro. Perché la ricchezza di queste aziende, di questi
servizi diventati ormai quotidiani nella vita di tantissima gente,
sono gli internauti. O, meglio ancora, le informazioni, i tempo, i
dati scambiati dal popolo della Rete.

Di fatti sono gli iscritti alla community a possedere il mezzo
anche senza azioni e senza partecipare alle spese (molte) e ai
ricavi (pochi) dei “padroni”. Senza utenti – è scontato – i
social network non esisterebbero. E non è un caso se Facebook è
costretta in qualche modo a fare i conti con gli umori dei propri
cittadini. Pena il collasso del pianeta. Ecco perché a febbraio
scorso la decisione di cambiare i terms of use (l’accordo che
ogni utente deve sottoscrivere quando si iscrive) che prevedeva il
diritto di sfruttare in maniera perpetua, irrevocabile e cedibile
tutti i contenuti pubblicati dagli utenti (anche quelli
successivamente rimossi) ha provocato una tale levata di scudi (gli
iscritti hanno minacciato di trasferirsi altrove)  da costringere
Facebook alla ritirata: i terms of use non subiranno modifiche. E
anzi, il 26 febbraio, è stato addirittura creato uno spazio per
consentire agli utenti di discutere e partecipare al processo
decisionale, almeno per quanto concerne le relazioni fra iscritti e
azienda. Proprio a testimonianza che l’unica cosa che conta sono
le persone. Ed è attorno alle persone che si sta combattendo la
più feroce battaglia di potere.

I duellanti sono Facebook e Google e la posta in palio sono i gusti
degli utenti. Obiettivo: anticipare la spesa, predirla e
indirizzarla. Ai fini del business, naturalmente e non certo di
mere indagini sociologiche. Da un lato la politica esclusivista di
Facebook, dall’altro la spinta del motore di ricerca di Mountain
View verso un modello più aperto agli sviluppatori. “Tutto
questo è amplificato dalla socialità del web – spiega
David Glazer che  per Google si occupa della sezione
“social”
-. Ogni attività che facciamo su Internet
sarebbe migliore se la facessimo assieme agli altri: se i
quotidiani online ci mostrassero gli articoli più letti dai nostri
amici, se cercando un ristorante sapessimo se qualcuno nel network
ci ha già pranzato. Insomma, ogni azione che riguarda la
quotidianità. Ma c’è una barriera importante”. Che è appunto
data dal fatto che le informazioni rappresentano in un certo qual
modo una ricchezza: la possibilità di orientare le nostre
scelte.

Per questo, chi le ha, se le tiene ben strette e su ciascun social
network è necessario usare nomi e password diversi e ricostruire
la rete dei contatti volta per volta. Per questo, quando il
seguitissimo blogger Robert Scobble ha tentato di crearsi, tramite
un programma ad hoc, una copia del suo “dossier” su Facebook,
è stato “bannato” (alias eliminato). Le regole parlano chiaro:
cercare di scaricare i dati, anche i propri, in automatico, è
severamente vietato. “I maggior social network difficilmente
cederanno a logiche open – sostiene Grant Robertson lead
blogger di Aol’s Download Squad
-. Per un semplice
motivo: non gli conviene”. “La realtà è che questa sorta di
rubrica di indirizzi, telefoni e facce più nuance di quelle
cartacee che si usavano una volta – commenta Glazer – diventa
spesso “indispensabile” per chi comincia ad usarla. E per
questo, da qui a qualche anno, ci importerà sempre di più chi
possiede i nostri dati e soprattutto se sono chiusi o se sono
open”. Una questione non da poco considerato – ed è l’unica
cosa certa – che i dati valgono oro.

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