“La privatizzazione della Rai? Non è un tema che abbiamo sul tavolo”. Lo afferma a Il Messaggero il vice ministro allo Sviluppo economico Antonio Catricalà. Il riferimento era all’intervista rilasciata nel finesettimana dal ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni al programma di Fabio Fazio “Che tempo che fa”, in cui al presentatore che faceva una domanda a proposito di un’eventuale privatizzazione della Rai e dell’Eni ha risposto: “Ci sono varie ipotesi sotto esame, stiamo guardando ogni possibile soluzione”. A Fazio che gli chiedeva se la vendita fosse di una rete o dell’intero gruppo, Saccomanni ha risposto ‘’rimarrebbe la tv pubblica’’.
“Sulle parole del ministro Saccomanni – ha commentato Catricalà – c’è stata un’evidente forzatura: incalzato da Fabio Fazio, si è limitato a non escludere nulla. Posso garantire – ha insistito – che non c’è alcun dossier sulla privatizzazione della Rai. Io, di sicuro, al ministero dello Sviluppo non l’ho visto. Al contrario, abbiamo intrapreso una serie di azioni che non possono essere interpretate come volontà di privatizzare ma intendono invece mettere ordine e rafforzare la Tv pubblica. La Rai è sottoposta ad un contratto di servizio. La legge Gasparri tecnicamente prevedeva questa possibilità ma ora sarebbe intempestivo parlare di privatizzazione a due anni dalla scadenza della concessione Rai, il 6 maggio 2016, che andrà rinnovata”.
“Non è – rileva Catricalà – un tema che possa essere affrontato dal governo ma semmai dal parlamento anche perché sarebbe necessario rivedere la governance. Il contratto di servizio che stiamo portando avanti prevede nuove mansioni e sacrifici per la Tv pubblica” che deve diventare “uno strumento nell’attuazione dell’Agenda digitale”.
Alla Rai, prosegue il vice ministro, “chiediamo un sacrificio vietando la pubblicità nel programma dei bambini in età prescolare. Basterebbero queste due cose per dire che la Rai deve restare pubblica”. E poi c’è il ”bollino” per rendere ”riconoscibili e valorizzare i programmi finanziati con il canone” per consentire a chi lo paga ”di controllare come sono spesi i suoi soldi. Se c’è una verifica pubblica su come viene speso il canone il governo ha una legittimazione in più per colpire gli evasori”, conclude Catricalà.
Dopo le dichiarazioni di Saccomanni sono prontamente arrivate le critiche di Slc-Cgil, FISTel-Cisl, Uilcom-Uil che dichiarano la loro “ferma contrarietà ad ogni provvedimento estemporaneo teso al ridimensionamento e alla disgregazione della Rai e della sua funzione di Servizio Pubblico Radiotelevisivo”.
La Rai, dicono i sindacati, è ancora una volta pensata come “un terreno di scambio politico e di conquista degli interessi economici”, invece è ancora “una realtà dinamica e attiva dove non mancano le risorse, né idee, né gli uomini, né la competenza tecnica e artistica”.
Le confederazioni sindacali ritengono che il governo e i partiti politici debbano “superare l’idea che il risanamento economico del Paese passi per la cessione o la dismissione di asset industriali nodali per il sistema Paese (vedi i casi Telecom e Alitalia) sul piano tecnologico, infrastrutturale e culturale, “bruciando” posti di lavoro e esperienze professionali importanti pur di realizzare un ricavo temporaneo”.
Nei giorni scorsi il finanziere franco-tunisino Tarak Ben Ammar, rilasciando un’intervista a un’emittente radio-televisiva su vari temi, si è detto pronto a investire nella Rai in caso di eventuale privatizzazione. “Anche se la Rai vuole vendere, privatizzare, siamo qua” ha detto. “Penso sia positivo privatizzare la Rai – ha proseguito – come è successo in Francia, così la politica esce fuori dalla televisione che è un grande problema”. L’imprenditore ha poi sostenuto che “per rinnovare la concessione del canone gli italiani dovrebbero decidere la linea editoriale che il servizio pubblico dovrebbe avere. Sawiris si è comprato Wind – ha proseguito – Telecom forse va agli spagnoli, il lusso ai francesi, perché due arabi non possono essere soci con altri italiani se la Rai è privatizzata?”.
Dopo le dichiarazioni di Tarak Ben Ammar insorse l’Usugrai, contestando qualsiasi ipotesi di privatizzazione del servizio pubblico radio-televisivo.