conferma i suoi dubbi, attraverso un articolo pubblicato sul
settimanale “Oggi”, “sulla convenienza di indicare nei
titoli di coda dei programmi i compensi pagati a interpreti,
autori e ospiti”. E aggiunge: “Se si vuole, come mi pare
giusto e utile, che le spese della Rai, ente pubblico, non siano
coperte dal segreto è sufficiente renderle accessibili, a chiare
lettere, sul suo sito internet, ormai raggiungibile anche con i
cellulari, o per mezzo di una segreteria telefonica, divenuti
agili ed equi strumenti di comunicazione”.
Nell’articolo, l’ex presidente Rai dice di essere “per il
massimo di trasparenza e il minimo di ambiguità in tutto quanto
concerne la vita pubblica, e la la tv di stato non fa eccezione,
tuttavia, calando il principio nella realtà, occorre proteggerlo
dai modi che possono trasformarlo in qualcosa di meno dovuto e
utile. Prima o poi il marchingegno, nato da un'istanza
morale, cioè da una severa premessa, avrebbe un pubblico solo di
voyeurs, e non sarebbe una grande conquista del servizio
pubblico, tenuto a garantire, sempre, ben altro".
“Vanno certamente sorvegliate le spese fatte con il denaro dei
contribuenti e a un’azienda di quella natura non dovrebbero
mancare i mezzi per regolamentare, finalmente, una materia di
tale significato – conclude l’articolo- Ma la Rai non vive
solo di canone, fa parte di un sistema radiotelevisivo dove la
pubblicità gioca la propria parte, sia pure con i suoi non
squisiti meccanismi di raccolta tra cui primeggiano i nomi dello
star system”.