E’ uscita ieri, 25 luglio 2013, con Delibera 452/2013/CONS la consultazione pubblica dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni riguardante lo schema di regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica. E’ quasi superfluo dire che si tratta di uno schema di provvedimento tanto atteso quanto controverso, per le questioni, ampiamente dibattute in dottrina, che riguardano la competenza dell’Autorità a interessarsi di questa materia.
In questa sede io vorrei occuparmi del contenuto del documento che viene posto in consultazione, rimandando a successivi approfondimenti la questione dell’eventuale competenza dell’Autorità alla sua emanazione, anche perché tale questione si potrà definire ed inquadrare con precisione solo una volta che sarà definito il documento che uscirà dalla consultazione pubblica. E’ infatti ancora tutto possibile.
L’Autorità si occupa nello Schema di Regolamento (in seguito “Schema”) delle c.d. “opere digitali”: esse sono definite, in sintesi, come le opere tutelate dal diritto d’autore (sonore, audiovisive, videoludiche ed editoriali) diffuse su reti di comunicazione elettronica. Non si occupa quindi di quei contenuti che non sono riconducibili al concetto di opera dell’ingegno e alla tutela del diritto d’autore. E’ una prima, importante, esclusione. Se qualcosa, guardando la legge sul diritto d’autore, non vi è compresa o è in pubblico dominio, il problema non si pone e non si deve porre.
La seconda esclusione degna di nota è quella, contenuta all’art. 2 comma 3, delle attività dei c.d. “downloader” e delle attività di condivisione diretta tra utenti finali di opere digitali attraverso reti di comunicazione elettronica. Sempre all’art. 2 vi sono importanti affermazioni di principio che testimoniano il “nuovo” spirito con cui Agcom ha trattato la materia.
Infine, lo Schema “paralizza” mediante immediata archiviazione l’azione dell’Autorità qualora una delle Parti del procedimento (gestore della pagina, uploader, titolare dei diritti, ecc.) adisca l’Autorità Giudiziaria competente. Questo mi pare un forte argomento a favore della legittimità del futuro Regolamento.
Occorre anche notare come grande parte del Regolamento sia dedicata a trovare metodi di promozione dell’opera digitale, i quali, dovendo essere concertati ed oggetto di attività ulteriore, saranno valutati a tempo debito. Sembra dunque che l’Autorità voglia sgombrare il campo da possibili critiche che hanno interessato le precedenti consultazioni sullo stesso tema ed abbia in tal senso recepito molte istanze provenienti dal dibattito dottrinale.
Veniamo alle potenziali criticità che appaiono alla primissima lettura. Vi è anzitutto da notare che le definizioni sono migliorabili.
Quelle attuali potrebbero non cogliere del tutto nel segno, anche perché non vi è alcuna delimitazione territoriale dell’efficacia del Regolamento (si suppone che sia l’Italia in quanto Agcom non vigila certo il diritto d’autore a livello mondiale).
Alcune sembrano essere inserite “pro forma” nello Schema, come ad esempio “prestatori di servizi di pagamento”, ai quali, con qualche sforzo troviamo solo un vago e generico riferimento all’articolo 4 come partecipanti al “Comitato per lo Sviluppo e la tutela delle opere digitali”.
Altre sembrano eccessivamente vaghe, tra cui quella cardine del Regolamento di “gestore della pagina Internet”. Il soggetto cui il titolare dei diritti in prima battuta e, in caso di insuccesso, l’AGCOM, sollecitata dal titolare dei diritti, rivolgeranno la richiesta di rimozione del contenuto è, di fatto, indeterminato.
Esso è definito come “il prestatore dei servizi della società dell’informazione che, sulla rete Internet, cura la gestione e l’organizzazione di uno spazio, su cui sono presenti opere digitali o parti di esse, ovvero collegamenti ipertestuali (link o tracker) alle stesse, anche caricati da terzi”.
Pertanto, nella pratica, il titolare dei diritti che voglia richiedere la rimozione, lo dovrà fare a colui che, sulla rete Internet cura gestione ed organizzazione di uno spazio. Sono due concetti diversi per due figure potenzialmente diverse quali possono essere ISP e hosting provider e possono comprendere anche il cloud provider e il gestore di portali di contenuti. Se fossi un titolare di diritti manderei quattro segnalazioni.
Questi soggetti hanno per attività la gestione di uno spazio su cui vengono caricate “opere digitali o parti di esse”; se si tratta di “parti”, tuttavia, l’opera potrebbe non essere riconoscibile e non viene stabilito un criterio… la parte deve essere dotata di autonomia oppure no?
Menzione a parte merita il fatto che la definizione si evolva verso il concetto di gestore della pagina come titolare di uno spazio dove ci sono “link”, anche caricati da terzi. Tale inclusione, senza ulteriori specifiche, è potenzialmente devastante.
Viene in soccorso, al riguardo, la definizione di link come “link ad opera digitale”. Questo delimita e aiuta a comprendere che l’Autorità non vuole la chiusura di Internet (anche se la definizione è ulteriormente migliorabile).
I link che interessano l’Autorità sono solo quelli che puntano ad opere tutelate dal diritto d’autore e, pertanto, i link considerati illegali saranno quelli alle opere illegali (vengono espressamente menzionati i tracker).
Sembra, dalla primissima lettura, che non darebbe problemi un link ad un’opera digitale nella sua collocazione originaria, come ad esempio la citazione del libro sul sito dell’editore nell’ambito di un articolo che recensisca il libro medesimo o l’inserimento di link ad articoli di giornali nell’ambito di discussioni nei forum (purché gli articoli siano nei loro siti ufficiali).
Potrebbe tuttavia dare problemi il riferimento al fatto che siano “terzi” a caricare link. Se fossero terzi identificati (es. un grande portale che, in virtù di un contratto carica contenuti che comprendono dei link), perché non fare a questi la segnalazione?
Disorienta inoltre il fatto che, all’art. 8, si faccia riferimento ulteriore al concetto di “uploader” come ulteriore soggetto a cui poter chiedere l’intervento.
In sostanza, al titolare dei diritti viene presentato un ventaglio di soggetti potenzialmente responsabili del contenuto sulla rete. Una serie di “gestori della pagina “ e un “uploader”.
A questi soggetti, con l’esclusione dell’uploader, viene chiesto di predisporre, se lo ritengono opportuno, una “autoregolamentazione” da notificare all’Autorità. Il titolare dei diritti dovrà seguire quanto previsto dalle autoregolamentazioni applicabili al proprio caso e richiedere così la cessazione della potenziale violazione. Qualora non vi sia autoregolamentazione, la richiesta potrà essere diretta, ma l’Autorità non fornisce indicazioni circa l’eventuale contenuto.
Qualora, con la procedura di cui sopra il titolare dei diritti riesca ad ottenere la cessazione della violazione, l’Autorità non ha alcun ruolo.
Se dunque vi sarà un buon sistema di autoregolamentazione, ad esempio sul modello Usa e con iniziative coordinate tra titolari dei diritti e mondo del web, si potrà evitare un massiccio intervento dell’Autorità e appare questa la vera indicazione che si può trarre dal documento in consultazione: una sorta di esortazione a munirsi di efficace autoregolamentazione, utilizzando il procedimento amministrativo Agcom come residuale.
L’autoregolamentazione trova la sua forza (ed il suo incentivo) nel fatto che, se non buona ed efficace, porta all’ISP/hosting provider/cloud provider/gestore di contenuti una serie di ordini da parte dell’Autorità che potrebbe essere problematico gestire.
In mancanza di autoregolamentazione, le notifiche arriveranno all’Autorità che le esaminerà e potrà ordinare la rimozione selettiva del contenuto segnalato ovvero la “disabilitazione dell’accesso alle opere digitali diffuse in violazione” (con relativa schemata che segnala i servizi “legali”).
Paradossalmente gli stessi servizi “legali” potrebbero essere tuttavia destinatari di segnalazioni, qualora violassero i diritti e sarà interessante capire come saranno “selezionati”.
Si noti che la “disabilitazione dell’accesso”, tipo di misura che sarà probabilmente risevata ai casi di plurime violazioni contemporanee, non implica necessariamente l’inibizione dell’IP mediante tecniche invasive quali la Deep Packet Inspection.
Dunque, già a questa prima lettura, si vede che i temi di discussione sono molti e si preannuncia una interessante consultazione da cui, forse, uscirà, questa volta, un regolamento “sostenibile”.