L'estensione indiscriminata del cosiddetto equo compenso per la
copia privata a tutti i dispositivi provvisti di memoria hardware
altera irrimediabilmente il principio di proporzionalità tra
l'entità del prelievo e le riproduzioni per uso personale
realizzate dagli utenti. Perché il provvedimento resti
nell'ambito del diritto d'autore e non configuri un mero
aiuto di Stato alle grandi case discografiche e cinematografiche,
è necessario introdurre limitazioni che assicurino trasparenza
nella ripartizione del compenso e un'adeguata protezione dei
consumatori.
La “copia privata” è un'eccezione al diritto d'autore
che, anche per ragioni di tutela della riservatezza, permette al
consumatore che acquista legittimamente un esemplare originale di
una registrazione audio o video di copiare tale registrazione per
fini strettamente personali e non commerciali senza
l'autorizzazione dei titolari dei diritti. L'eccezione non
si applica dunque alle copie digitali di registrazioni protette da
diritti d'autore che gli utenti delle reti di file-sharing
scaricano e scambiano tra loro, ben oltre la propria sfera privata
e, nella maggioranza dei casi, senza le necessarie licenze.
Nell'ambito di questa eccezione, il cosiddetto “equo
compenso” costituisce un risarcimento preventivo che la legge
riconosce ai titolari dei diritti per coprire le perdite da questi
sofferte per la mancata autorizzazione delle copie private.
Prima dell'entrata in vigore di un decreto del ministero dei
Beni e delle attività culturali emanato il 30 dicembre 2009 e noto
alle cronache come "decreto Bondi", al prelievo
dell'equo compenso erano soggetti strumenti e supporti dedicati
specificamente alla riproduzione e alla memorizzazione di contenuti
musicali e audiovisivi, per esempio i masterizzatori, i cd-r e i
dvd-r).
Ora, invece, per effetto di un'interpretazione molto ampia di
una delega legislativa introdotta nella legge sul diritto
d'autore nel 2003, il decreto estende il prelievo a tutti gli
strumenti elettronici dotati di una memoria hardware, anche se non
dedicati, in modo specifico, alla riproduzione e archiviazione di
musica e video (computer, decoder, notebook, dispositivi hardware
fissi e mobili, compresi i telefoni cellulari, lettori multimediali
portatili, chiavette Usb e altro ancora).
Nel sistema della copia privata, è la Società italiana autori
editori (Siae) che, per espressa disposizione di legge, raccoglie
periodicamente i prelievi dai soggetti obbligati – produttori e
importatori dei supporti e degli apparecchi soggetti al prelievo –
e li suddivide tra i vari titolari dei diritti seguendo una logica
di ripartizione per comparti (audio e video). Da un punto di vista
economico, l'estensione del prelievo ha l'effetto di
incrementare il gettito dell'equo compenso gestito dalla Siae,
che negli ultimi anni è diminuito sensibilmente a causa del calo
delle vendite dei dispositivi e dei supporti analogici sui quali
era tradizionalmente applicato: dagli oltre 72 milioni di euro del
2005 si è giunti ai 44,5 milioni del 2009.
Estendendo in maniera indiscriminata il prelievo a tutti i
dispositivi provvisti di memoria hardware, il decreto Bondi ha
finito per aggravare l'intrinseca iniquità del sistema e
minare alla radice il principio di proporzionalità tra i compensi
prelevati su una gamma molto più ampia di prodotti e le copie
private realizzate attraverso di essi.
Sin dalla sua istituzione in Italia, nel 1992, l'equo compenso
si è tradotto in un sistema di remunerazione a dir poco
approssimativo, in virtù dell'adozione di criteri presuntivi
di ripartizione sganciati da qualsiasi riferimento concreto o
attendibile a ciò che i consumatori copiano effettivamente con gli
strumenti gravati dal prelievo. Infatti, la Siae suddivide
discrezionalmente i compensi per la copia privata a titolo di
ripartizioni supplementari calcolate in proporzione ai rendiconti
delle classi di utilizzazione "Dischi" e
"Radiofonia" che, ancora oggi, a dispetto
dell'avvento delle tecnologie digitali e di Internet, sono
quelle maggiormente remunerative nella gestione collettiva dei
diritti d'autore. Ciò a beneficio esclusivo dei titolari di
diritti d'autore che detengono posizioni dominanti in tali
settori, e cioè i grandi editori musicali e le case discografiche
di loro proprietà. Senza una modifica da parte della Siae dei
criteri di ripartizione attuali che tenga in debita considerazione
le utilizzazioni digitali (e cioè la distribuzione commerciale di
contenuti attraverso il web e la telefonia cellulare),
l'applicazione del decreto Bondi avrà l'effetto
paradossale di tassare tutti i moderni dispositivi e supporti
digitali di riproduzione per premiare economicamente i proprietari
di contenuti veicolati attraverso strumenti e canali tradizionali
(i dischi e le radio).
Per evitare distorsioni nel mercato e garantire equità tanto ai
titolari dei diritti quanto ai consumatori, sarebbe sufficiente
rispettare un principio, sancito nella legislazione europea sul
diritto d'autore, secondo cui il prelievo deve essere limitato
ai soli dispositivi di riproduzione digitale che siano utilizzati
presumibilmente per realizzare copie private. Dello stesso avviso
si è mostrato l'avvocato generale della Corte di giustizia
europea nelle conclusioni presentate l'11 maggio scorso
nell'ambito di un caso portato di fronte alla Corte
dall'Audiencia provincial de Barcelona per valutare la
legittimità del sistema spagnolo di prelievo dell'equo
compenso, anch'esso indiscriminato.
Per adeguare la legislazione italiana alle regole europee,
pertanto, il ministero dei Beni culturali dovrebbe inserire misure
correttive nel decreto Bondi coinvolgendo nella riforma tutti i
portatori d'interessi, consumatori compresi. Occorre limitare
il prelievo ai dispositivi utilizzati in misura preponderante per
la riproduzione di contenuti musicali e audiovisivi e creare
specifiche esenzioni dal prelievo nei casi in cui il consumatore
abbia già pagato un compenso per la copia privata o non sia in
grado, tecnicamente, di realizzarla per l'apposizione di misure
anticopia efficaci. Senza queste correzioni, il compenso avrà
davvero le caratteristiche di una tassa (e non di un diritto) e
potrà essere considerato alla stregua di un aiuto di Stato ai
produttori discografici e cinematografici in crisi, a spese di
alcune categorie produttive e della generalità dei consumatori, da
mesi in rivolta contro il decreto Bondi.
Questo articolo è stato tratto dal sito www.lavoce.info.
L'autore è assistant professor di diritto della proprietà
intellettuale
all'Università di Copenaghen, Facoltà di Legge