IL CASO

Diffamazione su Facebook, la sentenza che fa discutere: “Testate giornalistiche responsabili dei commenti”

Storica decisione della Corte suprema australiana nella causa intentata da un cittadino contro alcuni media presenti sul social. “Le interazioni sono state sollecitate, rispondono come editori”

Pubblicato il 09 Set 2021

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I giornali e le emittenti Tv sono responsabili per i commenti diffamatori ai loro articoli su Facebook? Sì, ha deciso la Corte suprema dell’Australia con una sentenza che segna un importante precedente nel braccio di ferro tra le testate giornalistiche e il social media.

La decisione arriva a seguito della causa depositata da un ex detenuto di un carcere minorile, Dylan Voller, che si è ritenuto danneggiato dai post pubblicati dagli utenti sulle pagine Facebook di Sydney Morning Herald, The Australian, Centralian Advocate, Sky News Australia e The Bolt Report.

Il parere della Corte Suprema

La Corte suprema australiana ha sentenziato con 5 voti favorevoli e 2 contrari che le testate giornalistiche – che siano giornali o notiziari televisivi, come in questo caso – sono “editori” dei commenti presunti diffamatori postati da terze parti sulle loro pagine Facebook ufficiali.

I gruppi media australiani si sono difesi asserendo che chiunque, per poter essere considerato “editore” di tali contenuti, deve essere consapevole del contenuto diffamatorio e avere la volontà di diffonderlo. Secondo la Corte suprema, invece, le testate giornalistiche, avendo sollecitato i commenti degli utenti su Facebook, sono partecipi della loro pubblicazione.

Di chi è la responsabilità dei contenuti sui social?

News Corp Australia, uno dei gruppi media interessati dalla causa per diffamazione di Voller, ha commentato la sentenza chiedendo una “urgente riforma legislativa” per sanare una “anomalia” e “portare l’Australia in linea con le democrazie occidentali”. Il colosso editoriale ha espresso forte contrarietà di fronte a una legge che ritiene responsabili le testate di commenti inappropriati quando non hanno alcuna consapevolezza di quanto verrà scritto nei post sui social.

I legali di Voller si sono invece detti soddisfatti della sentenza perché, a loro avviso, “mette la responsabilità dove deve stare: nelle mani delle aziende dei media, che hanno ingenti risorse per controllare i commenti del pubblico in circostanze in cui sanno che è altamente probabile che possa verificarsi una diffamazione”.

Nessun commento per ora da Facebook che, però, sarà sicuramente altrettanto soddisfatta della decisione australiana e lo “scarico” di responsabilità. La questione rimane aperta: chi deve assumersi il ruolo di “controllore” sui contenuti online generati dagli utenti? E quali sono le basi giuridiche, gli strumenti e i confini di tale ruolo di controllo? Materia di studio per i giuristi con molti spunti di riflessione per governi, giornalisti e reti social.

 In Uk accuse di discriminazione di genere

E in Uk Facebook è stato accusato di non rispettare la legge sull’uguaglianza di genere per il modo in cui gestisce gli annunci di lavoro.  nel modo in cui gestisce le pubblicità di lavoro. L’organizzazione Global Witness ha effettuato un esperimento per mostrare come funziona l’algoritmo di Facebook e ha rilevato che gli annunci per meccanici erano visualizzati prevalentemente da uomini mentre quelli da infermiere da donne.

Il social però si difende. “Il nostro sistema prende in considerazione diversi tipi di informazioni per cercare di pubblicare annunci diretti a persone a cui presumibilmente interessano di più.

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