“Questa situazione è complicata perché ci sono troppi equivoci. Di sicuro non si tratta di una tassa sugli smartphone. E poi cosa vuol dire copia privata? Non l’ho capito. Qui si parla di compenso dell’autore”. Lo dice al Corriere della Sera Gino Paoli, cantautore, 79 anni, presidente della Siae, la Società italiana degli autori ed editori, sulla questione della rideterminazione dei compensi per copia privata da parte del ministero dei Beni culturali. I produttori di smartphone, tablet, e computer dovranno versare la loro quota alla Siae, che provvederà a girarla agli autori. “E’ un compenso – argomenta Paoli – in cambio della possibilità di effettuare una copia personale di registrazioni, tutelate dal diritto d’autore. Questo compenso, però, non deve essere a carico di chi acquista lo smartphone, ma del produttore, che riceve un beneficio dal poter contenere sul proprio supporto un prodotto autorale come una canzone o un film. È previsto anche in Francia e Germania».
“Si tratta di fissare la tariffa – prosegue Paoli – In Italia il prelievo è pari allo 0,12% contro il 5,12% della Germania. Eppure smartphone e tablet da noi costano in certi casi anche di più. La battaglia di Confindustria Digitale punta a proteggere le multinazionali, che spesso non pagano nemmeno tutte le tasse in Italia e che di certo non producono qui. Mentre la Siae rappresenta un milione e mezzo di lavoratori, che paga le tasse in questo Paese. Dobbiamo ricordarci che l’industria culturale vale il 5% del nostro Pil. Quello che chiediamo non è una tassa. Quando prendiamo un taxi paghiamo la corsa e lo consideriamo il compenso per il servizio ricevuto, non una tassa”.
Poi Paoli sottolinea l’importanza della Siae: “Sono stanco di sentirla definire un carrozzone. Sto cercando di cambiarla, ora è un palazzo di vetro. È un’istituzione importante, un presidio di libertà per gli autori”.