“Censura, bavaglio, libertà di espressione in pericolo e chi più ne ha più ne metta. Attacchi strumentali o semplicemente ignoranza. Solo chi è in cattiva fede o non ha approfondito la lettura del mio ddl può ritenerlo un provvedimento liberticida”. Così, in una nota, la senatrice Adele Gambaro del gruppo Ala-Scelta Civica, prima firmataria del ddl contro le fake news si difende dalle polemiche sollevato dal provvedimento.
“L’art. 656 del nostro codice penale, attualmente in vigore, recita – spiega – ‘Chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a trecentonove euro’. Non mi pare nessuno abbia mai urlato allo scandalo. Il mio ddl estende semplicemente tali previsioni al web, per di più non prevedendo l’arresto, ponendosi quindi in modo certamente più blando rispetto a quanto già normato. Per il resto, mi chiedo chi possa essere d’accordo con una campagna d’odio o con notizie false montate ad arte per destare pubblico allarme. Qui non si parla di opinioni, ma di notizie false, che sono un’altra cosa. Chi deciderà circa la pericolosità sociale di contenuti diffusi sul web? La magistratura. Parliamo di giudici che non credo possano essere tacciati di essere pericolosi ed eversivi criminali. Inoltre, non si prevedono filtri preventivi perché il giudice interverrebbe solo ed esclusivamente dopo la pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose che possano arrecare seri danni a persone o intere fasce della popolazione”.
Il fatto che internet, conclude Gambaro, “sia uno strumento meraviglioso che ha annullato le distanze non viene certo messo in discussione e si estrinseca nelle prime dieci righe della relazione che accompagna il mio ddl. Sono peraltro convinta che anche e soprattutto sensibilizzando a una cultura digitale e a una formazione del senso critico dei più giovani si possa rendere migliore il mondo online. Ed è proprio per questo che l’art. 6 del ddl contiene misure sull’alfabetizzazione mediatica, nella speranza che i più giovani possano sempre di più capire cosa leggono su internet, soprattutto quando chi comunica distorce, per dabbenaggine o per ignoranza, i contenuti che sceglie di veicolare. Questo perché si parla di persone che non hanno doveri rispetto agli utenti. Testate, giornalisti e professionisti del settore dell’informazione, invece, sono soggetti alla legge e pertanto hanno obblighi precisi. Se questi ‘diritti-doveri’ sono ritenuti insufficienti da chi considera la stampa inadeguata, saremmo ben lieti di leggere una proposta di legge che riformi il settore. Il resto sono solamente critiche sterili e parole gettate al vento”.