Gianluca Comin (Ferpi): ‘Comunicare con la crisi’

Pubblicato il 05 Mar 2009

«Comunicare è l’anima della reazione alla crisi»: detto
così sembra quasi un’affermazione di autocompiacimento, visto
chi la esprime. In realtà non è affatto così. È una
convinzione profonda e motivata quella di Gianluca Comin,
presidente della Ferpi, la Federazione delle relazioni pubbliche
italiana. Ma è anche un’affermazione impegnativa, in un
momento in cui le aziende tagliano i costi, riducono i budget,
diventano attentissime alle spese. E la comunicazione spesso
viene considerata, se non un lusso, quantomeno una voce da vacche
grasse. “Un errore”, chiosa Comin. Difficile dire che non se
ne intenda, visto che oltre a presiedere la Ferpi, il gotha dei
comunicatori italiani, è anche capo delle relazioni esterne in
Enel, dopo un passato in Telecom Italia e in Montedison.
“Arbitro” e giocatore”, insomma, analista del fenomeno
comunicativo e impegnato direttamente a supportare il messaggio
dell’azienda per cui lavora nel momento forse più difficile
dell’economia mondiale dal dopoguerra.

Comin, tempi difficili per i comunicatori in
azienda.

Direi piuttosto che hanno l’occasione per dimostrare che la
comunicazione è necessaria comunque. Anche se è ovvio che in
tempi difficili i budget si fanno più stretti, si sfrondano
eccessi, si tagliano sprechi. Ma non sempre è semplice trovare
il confine tra necessario e surplus. “Concentrarsi sul
business” è però una parola che si sente sempre più spesso
nelle aziende.

Comprensibile.
Comprensibile, ma eccedere nel “solo business” può risultare
un grave errore. Dobbiamo capire come la crisi influenza
percezioni, attese, comportamenti dei clienti, consumatori o
aziende che essi siano. E da questa comprensione va individuata
la comunicazione più adatta per sostenere la propensione
all’acquisto dei prodotti aziendali. Una comunicazione corretta
ed efficace è particolarmente importante proprio in momento di
crisi, quando i legami col mercato rischiano di farsi più
flebili.

Parla per esperienza?
Anche. Già nello scorso ottobre ci siamo interrogati sulla
crisi, sulle percezioni e reazioni dei nostri clienti, abbiamo
cercato di capire in quale nuovo contesto ci trovassimo. E
abbiamo messo a punto una strategia commerciale più in linea con
il quadro della crisi, ritardando il nostro messaggio in
un’ottica nuova, come si potrà verificare dalla campagna Enel
che inizierà nei prossimi mesi. Cerchiamo ancora più di  prima
di metterci a fianco del cliente, di dargli più certezza
sull’offerta commerciale, di supportarlo con i listini ma anche
con la trasparenza, la semplicità, la sicurezza.

È un problema di linguaggio, di saper parlare al
cliente?

È un aspetto. Ma c’è anche quello economico cui abbiamo
accennato prima. In tempi di crisi i budget si stringono. E il
tema diventa comunicare con meno risorse. Questo richiede uno
sforzo di innovazione, significa fare pianificazioni più
accurate, cercare ancor di più la qualità, usare tecnologie
innovative.

In tempi di crisi si bada al sodo, meno al
superfluo.

È vero. Le nostre analisi confermano che c’è meno attenzione
alla marca e più al prezzo. Questo è un grosso rischio per chi
propone “griffe”. E non mi riferisco solo alla moda o al
largo consumo, ma anche a chi propone soluzioni tecnologiche – e
non c’è solo l’elettronica – che vengono sostenute anche
dalla forza del brand, oltre che dalla qualità intrinseca dei
prodotti. Il calo dei budget non deve andare a scapito della
conoscenza della marca. Avere un’awareness inadeguata
rischierebbe di costare assai quando l’economia riprenderà.

Lo si capisce?
La consapevolezza c’è. Come Ferpi notiamo una crescita degli
investimenti in relazioni pubbliche, anche se essa non compensa
il calo di investimenti in pubblicità, che restano il piatto
forte della comunicazione. Questo nuovo trend indica che si cerca
un contatto diretto col cliente: l’investimento in relazioni
pubbliche non ha bisogno dell’intermediazione della pubblicità
sui media. Oltre a ciò notiamo una crescita della pubblicità su
Internet e sulle device mobili. Si tratta di investimenti ad alta
efficacia e basso costo.

Accessibili anche alle Pmi?
Senza dubbio. Vorrei però notare che le strutture di
comunicazione delle grandi imprese hanno fatto passi da giganti:
si sono dotate di risorse e competenze professionali importanti e
riportano direttamente agli amministratori delegati. Le Pmi non
hanno fatto questo passaggio e spesso la comunicazione è
affidata al parente o al conoscente. A volte ciò dipende anche
dalla estrema specializzazione di nicchia delle Pmi, concentrate
come sono sul B2B con pochi clienti preordinati. La comunicazione
appare loro un costo poco giustificato. Invece, anche per le Pmi
in momenti di crisi la comunicazione può risultare un asset di
crescita e di conquista di quote di mercato, soprattutto per chi
opera anche nei mercati esteri. Ma ci vuole una crescita
professionale della comunicazione, sia all’interno delle Pmi
sia nelle società di consulenza. Ripeto, oggi a disposizione
hanno anche le nuove tecnologie.

La pubblicità su Internet ucciderà i
giornali?

Non sono così catastrofista, anche perché il pubblico è
differenziato: nel 2020 la carta stampa sarà ben viva. Internet
è una minaccia per “questi” giornali. Ma la stampa
continuerà ad avere un ruolo importante se saprà concentrarci
non tanto sulla velocità della notizia, ma sulla capacità di
approfondimento, di conoscenza, di selezione. I giornali
rimarranno il mezzo principe di convincimento degli opinion
leader. Varrà ancora il detto per cui non è un servizio
televisivo a far cadere un governo, ma 10 righe scritte su un
giornale. L’autorevolezza di un giornale serve agli investitori
pubblicitari: non tanto in termini di penetrazione dei mercati,
quanto di sostegno all’autorevolezza del marchio.

L’innovazione nelle tecnologie è forte.
Non c’è dubbio. Dai social network, agli applicativi per i
device più diversi, agli outdoor per le affissioni dinamiche
l’evoluzione è rapidissima. Ma noto un gap tra le
potenzialità comunicative delle tecnologie e la capacità dei
comunicatori di approfittarne. Le usano poco e tendono a farlo
con gli schemi del vecchio mondo. In particolare, c’è poca
attenzione all’interazione col cliente. Non è un problema solo
italiano, ma all’estero c’è più interattività tra i
diversi mezzi, fra giornali e web.

L’Enel è stata la prima a credere in nuovi strumenti,
come la webtv, per la comunicazione interna.

Dal 2000. Da allora la nostra webtv è molto cambiata: dai
palinsesti rigidi siamo passati all’on-demand. È il nostro
strumento più efficace di comunicazione interna. Ma abbiamo
mantenuto, ed anzi appena rinnovato nella grafica, “Insieme”,
il nostro house organ cartaceo. Ha la forza di rimanere sulle
scrivanie per un mese: la webTv non ha sostituito la sua
capacità di fare opinione.

Siete usciti da Second Life.
Il 31 dicembre: stagione finita. Bisogna avere la capacità di
cogliere i momenti ed essere presenti dove c’è crescita.
Adesso siamo su YouTube. Ma non rinneghiamo l’esperienza di
Second Life. Ci è servito moltissimo: i nostri progetti di
ricerca sono stati visitati persino dal governo americano.

 

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