INFORMAZIONE

Giua: “Editoria, l’innovazione paga”

Il direttore Sviluppo e innovazione del Gruppo L’Espresso crede nella forza
degli editori che sanno reinventarsi al passo coi tempi. “Scenario complesso ma stimolante: nuovi e agguerriti soggetti in campo, ma alla fine ci sarà spazio solo per chi saprà rinnovare l’offerta”

Pubblicato il 22 Apr 2013

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“È sempre più difficile fare l’editore in uno scenario in cui i costi per fare informazione sono alti, i ricavi pubblicitari non adeguati, i concorrenti molto agguerriti, soprattutto quelli che guadagnano usando i contenuti senza retribuirli, e i paywall non ancora efficaci. Ma lo scenario è comunque stimolante e sopravviverà chi saprà innovare”. Questa la tesi di Claudio Giua, direttore Sviluppo e innovazione del Gruppo Editoriale L’Espresso.
Come si è evoluto lo scenario?
In pochi anni i modelli di business che si erano affinati e consolidati nel corso di secoli sono totalmente cambiati. La stampa italiana aveva due fonti di ricavi: le copie in edicola o in abbonamento e gli spazi pubblicitari. Per la stampa Usa erano altrettanto importanti i classified, piccoli annunci ora scomparsi del tutto. Il modello era stabile mentre ora siamo in una fase di incertezza e maggiore complessità. E poi ci si mette anche la crisi. La torta pubblicitaria sta diminuendo a livello globale per una crisi che, partita come congiunturale intorno al 2008/2009, sta diventando strutturale. La vendita delle copie cartacee era in crescita fino al 2011 a livello internazionale grazie ai Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), ma ora anche lì si è fermata. In Europa ci sono Paesi come Spagna, Polonia e Repubblica Ceca dove l’arretramento delle vendite nel 2011 ha sfiorato il 10%. Negli Usa, dal 2001 al 2011 l’occupazione nell’industria dei quotidiani è calata del 40%. In Italia il numero dei giornalisti è sceso del 4,4% nel 2010 e del 6,1% nel 2011.
E il giornalismo online? Che ruolo ha e ha avuto?
Mettendo a disposizione una quantità di contenuti inimmaginabile fino a pochi anni fa, il web consente un’informazione in teoria più approfondita e accurata. L’assenza di un modello di business alternativo e innovativo rischia però di impoverire pesantemente il giornalismo professionale e l’industria che lo sostiene. Il trasferimento massiccio di lettori dalla carta al web ha provocato l’aumento del bacino di utenza ma anche la parallela diminuzione dei ricavi pubblicitari per gli editori: ricavi che in rete sono inferiori in termini sia relativi, cioè per unità di spazio occupato, sia assoluti. L’accesso alle informazioni in rete, non solo da pc ma anche dai dispositivi mobili e presto dalla connected tv, sta creando una molteplicità di piattaforme, con ulteriore impatto negativo sui ricavi da pubblicità: più piattaforme ci sono, più i ricavi si polverizzano. E sta prendendo piede il re-targeting: se un’agenzia può fare il tracking, controlla quando l’utente che consulta i siti dei principali quotidiani italiani visita un sito meno noto o iperspecializzato. E allora conviene fornire la pubblicità lì dove l’advertising costa meno. Per non parlare della concorrenza di Google, che in Italia detiene oltre il 50% del mercato pubblicitario online, pur fatturando all’estero. E si sta trasformando in editore: quando si effettua una ricerca compaiono, a fianco dei risultati, cluster compilativi prodotti da Google con informazioni approfondite ed esaustive, in grado di fare concorrenza ai prodotti editoriali originali.
Ci sono altre insidie in rete per gli editori nati dalla carta?
Gli aggregatori di notizie. Ad esempio Flipboard, un’app molto popolare tra chi usa i tablet: l’ultima versione permette di creare un proprio magazine personalizzato, pescando i contenuti qui e là. Può farlo qualsiasi sedicente editore, aprendo un proprio account e diffondendo poi un prodotto che in realtà è frutto del lavoro altrui, ma incassando il danaro degli inserzionisti, se li trova.
I paywall potrebbero rappresentare una soluzione per i giornali italiani?
È una forma di monetizzazione, a mio parere, ancora ‘grezza’: di solito l’utente non paga la lettura dei primi 10 articoli ma la consultazione dei successivi. Così però si punisce il più fedele a scapito di quello occasionale. Credo che bisognerà studiare sistemi diversi. L’importante è non pensare che il paywall sia una soluzione del problema, semmai solo di una parte.
Ci sono alternative?
L’utilizzo dei dati, per esempio. Sia i dati personali che gli utenti possono fornire volontariamente all’editore, un po’ come fanno con Facebook, in cambio di informazioni giornalistiche, sia i dati degli archivi digitali pubblici e privati, intorno ai quali si gioca molto del futuro del giornalismo. Un’altra strada percorribile è la diversificazione: Axel-Springer, il più grande editore in Europa, è ormai una holding che ottiene circa il 50% dei ricavi da attività non strettamente editoriali come l’e-commerce.
Come vede dunque il futuro?
Il panorama è stimolante per gli editori. Si può continuare a lavorare sul fronte del contenimento dei costi, ma anche sui nuovi prodotti. A cominciare dal potenziamento della produzione di video. Chi saprà innovare non solo sopravviverà, ma tornerà a crescere.

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