La Cina segna un punto nella sua guerra contro Google: dopo che
martedì scorso la società di Mountain View ha accusato Pechino di
bloccare le ricerche sul suo sito di Hong Kong, dove ha spostato le
proprie attività per sottrarsi alle limitazioni imposte dal
governo cinese, gli inserzionisti pubblicitari – principale fonte
di guadagno del motore di ricerca – hanno già iniziato a
spostare i propri investimenti su altri siti.
Alla base della decisione dei pubblicitari ci sarebbe, secondo Cao
Junbo, un’analista capo di iResearch, un calo del traffico sul
sito di Google, che ha fatto scendere gli annunci “fra il 30 e il
50% rispetto al periodo prima dello spostamento ad Hong Kong”.
“C’è stato un drastico calo di click sugli annunci questa
settimana”, ha commentato sul Financial Times un’inserzionista
di apparecchiature mediche elettroniche, che ha deciso di spostare
la propria pubblicità su Baidu, leader sul mercato locale.
Certamente la “guerra” fra Google e la Cina non si fermerà
qui: la società di Mountain View sembra essere determinata a
superare le restrizioni imposte da Pechino e non intende rinunciare
a presidiare l’immenso mercato cinese, viste le sue dimensioni e
la sua crescita. Anche perché i suoi partner locali hanno già
messo in guardia il management americano, chiedendo chiarezza su
posti di lavoro, investimenti e ricadute di un’eventuale
chiusura. Da parte loro, i cinesi, sembrano altrettanto determinati
a far sì che non si crei un precedente e Google continua ad essere
sotto attacco, con i sistemi che funzionano a sprazzi, senza che
l’azienda riesca a capire cosa li blocca effettivamente, come è
dimostrato dal fatto che prima la grande G. si è presa la colpa
delle disfunzioni e poi ha accusato i firewall cinesi.