Centomila opportunità al minuto, quattro miliardi di click al mese, di cui uno da Google News, senza considerare poi la possibilità di monetizzarli tramite AdSense, con 6,5 miliardi di dollari distribuiti agli editori partner nel 2011. Sono questi alcuni dei dati con cui Google risponde all’attacco del mondo dei mass media, tematica tornata di prepotente attualità nelle ultime settimane, soprattutto in Europa: al centro delle stoccate del settore dell’editoria, il servizio di aggregazione di notizie della multinazionale americana, che comunque non porta nessun guadagno diretto nelle casse di Mountain View. “I giornali hanno un problema serio e noi ci preoccupiamo di ciò che accade loro, ma devono monetizzare i click che gli mandiamo in una maniera che assicuri il loro futuro”, ha detto a proposito nelle scorse settimane Eric Schmidt, presidente esecutivo di Google, il cui interesse in prima persona dimostra quanto la partita sia importante per la multinazionale.
“Google porta ogni mese quattro miliardi di click di traffico ai siti degli editori di tutto il mondo – ha spiegato al Corriere delle Comunicazioni un portavoce della società -. Di questi, circa un miliardo di click arriva da Google News”. Numeri importanti, che hanno convinto anche un numero uno dell’editoria mondiale, Rupert Murdoch, a fare marcia indietro: se nel 2009 aveva di fatto reso gli articoli del Times di Londra, uno dei giornali più prestigiosi del suo pacchetto, “invisibili” sul motore di ricerca, nei mesi scorsi ha fatto marcia indietro, decidendo di rendere di fatto visibili su Google News i titoli e le prime righe di ogni storia. E se, come ha riportato il New York Times a inizio novembre, gli editori americani hanno deciso che peggio di essere aggregati da Google c’è solo il non essere aggregati, ci sono paesi, fra cui spiccano Germania e Francia, dove lo scontro si sta alzando di intensità.
Per gli editori, in realtà, c’è la possibilità di scegliere, in totale autonomia, come apparire nei risultati del motore di ricerca. Ci sono, infatti, due “crawler” separati che si occupano dell’indicizzazione: da un lato quello “search”, dall’altro quello “news” ed è quindi possibile decidere se apparire su uno, sull’altro, su entrambi o anche su nessuno dei due senza dover nemmeno entrare in contatto con Google. Le ricerche, infatti, funzionano attraverso un software che analizza i contenuti in maniera metodica e automatizzata, e sono i server dell’editore che, attraverso un apposito file di configurazione, scelgono cosa far vedere o meno in questa ricerca, con la possibilità di specificare che un certo tipo di contenuti non deve essere mostrato o che non bisogna rispondere a uno specifico software, come può appunto essere quello di Google o quello, separato, di Google News.
“Possiamo anche dire – chiosano ancora da Mountain View – che Google crea per gli editori 100mila opportunità al minuto di entrare in relazione con i propri lettori e di trarre guadagni dai propri contenuti”. Una possibilità che la multinazionale rende più semplice sfruttare tramite il suo programma AdSense, a cui gli editori possono aderire per ottenere ricavi aggiuntivi, monetizzando così attraverso la pubblicità gli accessi ai siti.
Nel 2011, spiegano i dati di Google, attraverso questo meccanismo agli editori partner abbiamo ridistribuito a livello mondiale circa 6,5 miliardi di dollari: ai media spetta, da contratto standard che può essere richiesto anche attraverso un form online, il 68% del ricavato della pubblicità venduta in questo modo, ma, per certi publisher, esistono anche accordi diretti, negoziati sul singolo caso. Direttamente da Google News, poi, la società non guadagna nulla. “Non c’è pubblicità – ricorda il gruppo – e quindi non ne traiamo profitto”.
Una menzione a parte merita poi il tema della proprietà intellettuale degli articoli che il motore di ricerca indicizza e aggrega. “Diversi paesi nel mondo si stanno muovendo rapidamente per abilitare regole sul diritto d’autore moderne, che incoraggino l’innovazione, la creatività e la crescita economica. Auspichiamo di lavorare insieme agli editori italiani, francesi e tedeschi per raggiungere lo stesso obiettivo”, spiegano da Google; una strada, insomma, attraverso cui si possono creare nuovi modelli di business in grado di allargare la platea delle persone interessate ai contenuti che gli editori producono e trovando quindi nuovi ricavi di cui possano beneficiare sia la multinazionale che il mondo dei media.