Google: i governi non aiutino chi “mette il filtro” a Internet

I dirigenti dell’azienda californiana al Congresso: “Censurare la rete non è più soltanto una questione di diritti umani, ma anche un ostacolo al commercio internazionale”

Pubblicato il 31 Mar 2010

Regole certe per fare pressione sui governi che filtrano Internet,
mettendo di fatto un ostacolo al commercio internazionale. E’ la
richiesta avanzata da Alan Davidson, direttore della “public
policy” di Google, parlando alla commissione congiunta di
deputati e senatori statunitensi, allargata a un gruppo di esperti
dell’amministrazione Obama, che si è occupata del caso. Gli
Stati Uniti – ha affermato – dovrebbero prendere in considerazione
l’idea di rifiutare gli aiuti per lo sviluppo ai Paesi che non
consentono l’accesso libero al Web.
Secondo Davidson la censura è diventata qualcosa di più che una
questione di diritti umani, e sta danneggiando nei profitti diverse
compagnie che si basano su Internet per raggiungere i loro clienti.
“Non è un ostacolo limitato a un paese o a una regione – afferma
Davidson – e nessuna azienda può riuscire da sola a contrastarla
con efficacia”.
A sollevare di recente il caso della censura e a evidenziare i
problemi in cui spesso si imbattono gli operatori commerciali è
stato quanto accaduto in Cina a Go Daddy, riportato nei giorni
scorsi anche sul New York Times: la società di servizi on-line ha
annunciato di voler bloccare la registrazione di domini in Cina,
preoccupata per la privacy dopo che le autorità di Pechino avevano
richiesto l’identificazione fotografica e le firme dei
clienti.
Si tratterebbe, secondo quanto denunciato dall’azienda, della
prima volta in cui si chiede di fornire al Governo la
documentazione retroattiva di tutte le persone che hanno registrato
un dominio. Una “invasione di campo” avvenuta in uno scenario
che Go Daddy descrive come molto caotico, con crescenti attacchi di
hackers, frodi sempre più comuni nei pagamenti e spammer che
operano senza timori. Rispondendo, le autorità cinesi hanno difeso
la loro scelta dicendo che “le aziende straniere sono tenute a
rispettare le leggi locali quando operano in Cina”.
Secondo i dati di Google sono più di 40 i paesi che censurano
attivamente Internet, mentre 25 governi hanno bloccato il motore di
ricerca negli ultimi anni. Proprio per combattere queste pratiche
Davidson ha suggerito alla commissione di fare in modo, negli
accordi internazionali sul commercio, di impegnare i paesi
firmatari a non filtrare la rete. Google – ha continuato il
dirigente – prenderà in considerazione la possibilità di
rientrare in Cina soltanto dopo che il governo di Pechino avrà
rimosso le restrizioni, “ma combattere questa censura – ha
concluso – richiederà un duro lavoro”.

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