Google, operazione trasparenza. Dovrà rivelare il suo algoritmo?

Nel mirino dei regolatori Usa il principio di “search neutrality”. Il motore sospettato di mettere in atto “distorsioni” commerciali

Pubblicato il 16 Lug 2010

Oneri e onori dell’essere un gigante mondiale della web search, e
anche della pubblicità, delle mappe, della telefonia mobile e
altro ancora. Si potrebbe riassumere così la vita quotidiana di
Google, alle prese con un business in continua crescita (anche se
questo trimestre Big G sembra aver deluso il mercato) ma sempre
più gravato dai sospetti di comportamento sleale verso la
concorrenza.

Dopo i problemi per le violazioni della privacy legate alle riprese
fotografiche planetarie di Google Maps e le contestuali
"intercettazioni" delle reti senza fili private nelle
grandi città di tutto il mondo, adesso l'azienda il cui motto
è "Don't be Evil" ("Non essere malvagi")
rischia un altro e più lacerante conflitto: dover rendere
pubblica, per necessità di trasparenza, la sua formula segreta,
come la definisce Il Sole 24 Ore, ovvero l'algoritmo matematico
che viene utilizzato per far funzionare i servizi di ricerca di
Google, che ogni giorno rispondono a più di un miliardo di
richieste, utilizzando il più grande numero di calcolatori in rete
al mondo di una singola azienda.

Il problema, come rileva in un commento il New York Times, è
endemico, legato alla strategia stessa di Google. Da anni
l'azienda sta ampliando sempre più il suo campo
d'intervento per attrarre con servizi gratuiti numeri crescenti
di utenti e inserzionisti: dalla posta elettronica Gmail al browser
super-leggero Chrome; dal sistema operativo per cellulari Android
al nuovo servizio di prenotazione dei viaggi in aereo della
neo-acquisita Ita Software; dagli album online per le foto di
Picasa all'aggregatore di articoli Google News. Il tutto è
legato al business fondamentale di Google: la raccolta e la ricerca
di informazioni, e quindi la capacità di associarle fornendo
contestualmente della pubblicità a pagamento, che rappresenta più
del 90% dei 23,65 miliardi di dollari di fatturato nel 2009.

È meno noto, continua Il Sole, che Google da questi servizi tragga
profitto in più di una maniera: ad esempio facendo pagare le
aziende per avere visibilità "premium" nei risultati
delle ricerche degli utenti, oppure consentendo loro l'acquisto
dei nomi dei prodotti della concorrenza, per comparirvi accanto
nelle ricerche degli utenti. Il punto non sono tanto le singole
pratiche commerciali, contro le quali l'antitrust europeo sta
investigando (in particolare la capacità di Google di piazzare tra
i primi risultati i siti a lei associati come Google Maps o
YouTube, relegando la concorrenza in fondo alla lista). Il nocciolo
della questione è che Google sicuramente offre tutte le risposte a
chi cerca sul suo motore, ma non spiega quali criteri adoperi per
selezionare i risultati e quali attori vengano privilegiati a
scapito degli altri.

“E’ molto importante per le aziende, specialmente le più
piccole, apparire ai primi posti nel ranking di Google, ma non
c’è modo per loro di sapere come la tecnologia del motore di
ricerca funzioni”, nota il Financial Times. “Per questo
l’azienda è sempre più sotto esame da parte dei regolatori”.
Così, mentre l’Unione europea indaga sul predominio di Google
nella ricerca Internet, l'antitrust Usa è al lavoro per capire
se l'acquisizione da 700 milioni di dollari di Ita Software non
rischi di mettere fuori gioco le varie Expedia, Orbitz, Bing di
Microsoft e altri ancora.

Le due aree più controverse dell’attività di Google sono due,
secondo il Ft. Una è la cosiddetta “search neutrality”: i
regolatori vorrebbero assicurarsi che i risultati del motore di
ricerca non siano pesantemente distorti da motivi commerciali. Di
qui anche il rischio che Google debba rendere noto il suo
algoritmo. Il secondo settore sotto scrutinio è l’offerta di
servizi verticali paralleli alla ricerca, come le Maps o lo
shopping comparativo, che può danneggiare i rivali nell’e-travel
e nell’e-commerce.

A dare nuovi grattacapi a Google, intanto, arrivano anche le
reazioni preoccupate della Borsa alla sua trimestrale: l’azienda
ha riportato per il secondo trimestre dell'esercizio fiscale un
giro d’affari in crescita rispetto a un anno fa del 24% (da 5,52
a 6,82 miliardi di dollari) e utili di 1,84 miliardi di dollari,
ossia 5,71 dollari per azione (in crescita rispetto agli 1,48
miliardi dell’anno scorso). Escludendo le voci di natura
straordinaria, l'utile per azione è ammontato nel trimestre a
6,45 dollari, ma il dato è inferiore alle attese degli analisti
(6,52 dollari) e per questo il titolo ieri ha perso il 4% in
Borsa.

Ma ostacoli a parte, Google è ancora un colosso in ottima forma, e
non intende fermare la sua crescita, anche se forse dovrà prima o
poi regolarla. Così nel frattempo ha siglato un importante accordo
con la società di advertising Omnicom Media per la pubblicità
display online, uno dei settori sui cui Google punta maggiormente
per espandere i suoi guadagni oltre le search ads.

In base all’accordo, Omnicom spenderà centinaia di milioni di
dollari per comprare pubblicità display per i suoi clienti sulla
rete di Google nei prossimi due anni; in cambio Big G lavorerà con
Omnicom per mettere a punto un "trading desk" globale che
permetterà alla partner di acquistare display ads più facilmente
sulla piattaforma di Google, che funziona come un’asta che fa
incontrare chi compra e chi vende pubblicità con gli spazi
pubblicitari sulla rete di siti partner del motore di ricerca
californiano. Omnicom già comprava pubblicità sulla piattaforma
di Google, ma usando la propria tecnologia. Con questo accordo,
invece, Google fornirà ad Omnicom dei servizi di analisi per
capire come trarre il massimo dagli acquisti degli spazi di
advertising e per studiare le loro performance.

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