Google, sentenza storica: carcere per tre dirigenti

Il Tribunale di Milano riconosce il motore di ricerca responsabile della pubblicazione, nel 2006, del video choc sulle violenze a un ragazzo down. La replica dell’azienda: “Andremo in appello”. Contro Google anche un’indagine Antitrust della Ue

Pubblicato il 24 Feb 2010

Google nella bufera. Il Tribunale di Milano ha condannato a sei
mesi di reclusione tre fra dirigenti ed ex dirigenti del motore di
ricerca per violazione della privacy. Secondo l’accusa i
condannati non hanno impedito nel 2006 la pubblicazione sul motore
di ricerca di un video che riprendeva un minore affetto da sindrome
down insultato e picchiato da quattro studenti di una scuola di
Torino. E’ il primo procedimento penale internazionale che vede
imputati responsabili di Google per la pubblicazione di contenuti
sul Web. La replica dell’azienda: “Sentenza inaudita,
ricorreremo in appello”. Intanto per la prima volta apre
un’inchiesta su Google anche l’Antitrust europeo.

Giornata nera per il motore di ricerca. La sentenza di Milano apre
una serie di interrogativi che riguardano non solo l’attività di
Google, ma le regole stesse di Internet: chi è responsabile dei
contenuti sulla Rete? Sul Web deve prevalere il concetto di
libertà o quello di responsabilità?

Vanno in questo senso le reazioni alla sentenza che oggi ha messo
l’Italia al centro dell’attenzione internazionale. Come Google
si richiamano ai principi di libertà l’istituto Bruno Leoni
("Il nostro Paese ottiene un triste primato nella
incomprensione dei meccanismi che regolano Internet” dice il
direttore generale Alberto Mingardi), l’avvocato esperto di
diritto della Rete Andrea Monti ("Non credo che trasformare
gli operatori Internet in sceriffi della Rete tuteli i deboli e le
vittime di abusi”), l’Aiip (il segretario Dario Denni:
"Non possiamo addebitare le responsabilità degli
automobilisti ai manutentori delle strade”). Anchre
l’ambasciatore Usa in Italia, David Thorne, interviene sulla
sentenza di Milano: “Il principio fondamentale della libertà di
Internet è vitale per le democrazie che riconoscono il valore
della libertà di espressione e viene tutelato da quanti hanno a
cuore tale valore”. Divisi i politici italiani: per il capogruppo
del Pdl al Senato Maurizio Gasparri si tratta di “una sentenza
esemplare”, mentre per Sandro Gozi (deputato Pd)"aziende
come Google hanno reso ogni utente produttore di contenuti, pensare
di ritenerle responsabili per ogni cosa che viene pubblicata sul
Web significa non aver compreso la natura del Web 2.0".

I dirigenti condannati in primo grado dal giudice monocratico Oscar
Magi sono David Carl Drummond, ex presidente del cda di Google
Italy ora senior Vp, George De Los Reyes, ex membro del cda di
Google Italy ora in pensione, e Peter Fleischer, responsabile delle
strategie per la Privacy per l’Europa di Google. I tre sono stati
condannati solo per un capo di imputazione, quello relativo alla
violazione della privacy, mentre sono stati assolti per quello
relativo alla diffamazione. Per questo è stato assolto il
responsabile del progetto Google video per l’Europa Arvind
Desikan, accusato di sola diffamazione. Non hanno ottenuto
risarcimenti le due parti civili costituite, il comune di Milano e
l’associazione “Vividown”, perché la loro posizione era
legata al solo reato di diffamazione. La famiglia del disabile
aveva ritirato la sua querela nei confronti di Google.

Il filmato, caricato su Google Video l’8 settembre 2006, rimase
online per due mesi, fino al 7 novembre, totalizzando 5.500
contatti. Quando le autorità italiane chiesero a Google di
rimuoverlo, il motore di ricerca lo fece in meno di 24 ore.

Google fa sapere attraverso il portavoce in Italia, Marco Pancini,
che la sentenza rappresenta “un attacco ai principi fondamentali
di libertà sui quali è stato costruito Internet” e sottolinea
che “la normativa vigente è stata definita appositamente per
mettere al riparo dal danno di responsabilità gli Isp, a
condizione che rimuovano i contenuti illeciti non appena informati
della loro esistenza. Se siti come i blog, Facebook, Youtube
vengono ritenuti responsabili del controllo di ogni video,
significherebbe la fine di Internet come oggi lo conosciamo”.

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