L'EDITORIALE

Hate speech e fake news, interessi economici e (soprattutto) politici

Quel che sta accadendo sull’onda del Green Pass è solo la punta dell’iceberg. Sui social network continuano ad essere attivi migliaia di account senza “identità”. Chi c’è dietro? Perché non si mette fine a questa modalità? Si punta il dito contro le piattaforme ma la politica, paradossalmente, sta dando prova di essere la più interessata a mantenere lo status quo

Pubblicato il 02 Set 2021

hate

I social network, da Telegram e Twitter, da Facebook alle new entry figlie del “darkweb” continuano a rappresentare la piazza privilegiata degli “odiatori” e la situazione è degenerata con la pandemia. E ora siamo alle minacce a medici, politici, giornalisti – tanto per citare le categorie più vessate – sull’onda dell’entrata in vigore del Green Pass. Ma se ne vuole davvero venire a capo? La maggior parte dei gruppi e dei canali creati ad hoc creati online per organizzare le “squadre” di attacco vedono protagonisti profili fake.

Risalire all’identità è possibile ma si tratta di un lavoro enorme, anche perché la proliferazione degli account è ormai fuori controllo. Non sono bastati i continui provvedimenti dell’Antitrust e dell’Agcom negli ultimi mesi a mettere un freno alla vendita di “miracolose pozioni” anti-Covid e falsi Green Pass ad aizzare all’odio, anche fisico, a diffondere strampalate teorie pseudo-scientifiche.

Nascondersi dietro i nickname è la strada maestra per i diffusori di fake news e gli odiatori seriali – e con la pandemia si è toccato il picco storico. Spesso si attribuisce all’ignoranza e all’appartenenza a determinati ceti sociali, quelli più “poveri”, o a determinate forze politiche, quelle più “estreme” a destra e a sinistra, la paternità delle azioni. Ma le cose non stanno del tutto così: la creazione di profili fake “alter ego” è diventata oramai una prassi e dietro ci sono anche gli “insospettabili” –  esperti di comunicazione, professionisti e politici “moderati”, e la lista si può allungare a piacimento. I social network sono pieni di Doctor Jekyll e Mister Hyde pronti a cambiare “natura” alla prima occasione propizia: insultare è un “must”, quasi una regola nella comunicazione social di nuova generazione. Senza metterci la faccia, nome e cognome, ca va sans dire. Non è un caso se su Linkedin, il social professionale per eccellenza, il fenomeno quasi non esista: chi si azzarderebbe a sferrare attacchi e campagne d’odio mettendo a rischio la propria immagine e sporcando la propria “professionalità”?

Innegabili gli sforzi dei social network nel tentare di contenere l’onda d’odio e di fake news nonché di sostenere, ad esempio, la campagna vaccinale. Ma i social network non sono filantropi né organizzazioni senza scopi di lucro. Business is business e più aumentano le interazioni più cresce il “valore” in termini di visibilità e rendimento da advertising. E quand’è che aumentano le interazioni? Quando si crea polemica, scontro, quando si alzano i toni.

L’esemplare il blocco dell’account di Donald Trump col senno di poi appare solo come un’operazione di facciata se nel frattempo aumentano a dismisura gli account fake. La questione dunque è politica e va ben oltre le regole di accesso e iscrizione decise da società private.

Qualche anno fa fece discutere la proposta di consentire l’accesso ai social network solo attraverso la carta di identità. Metodo da regime, così si liquidò la questione senza però proposte alternative e valide. Si può obiettare rispondendo che esistono già leggi che tutelano, almeno sulla carta, i cittadini: sono reati la diffamazione, lo stalking il revenge porn. Ma presentare denuncia contro anonimi, risalire alle identità e avviare processi quanto costa ai cittadini e allo Stato? Le forze dell’ordine e la magistratura possono permettersi di affrontare centinaia, se non migliaia, di cause contro ignoti? Le pene previste sono sufficienti a dissuadere chi commette i reati? Quali sono le conseguenze sull’evoluzione – o meglio l’involuzione – della società tutta? E’ questo il tema politico degno di una società civile.

Gli interessi in gioco, anche e soprattutto economici sono molti – a partire da quelli delle Big tech che con i social fanno affari d’oro – ma la questione economica non può più prevalere sulla tutela dei diritti fondamentali, a partire da quello della libertà a cui si rifanno in questo momento i no vax, tanto per citare la categoria più in voga mediaticamente parlando. Non si può assistere a inseguimenti e violenze a carico di qualsivoglia cittadino, persecuzioni organizzate attraverso la Rete. Ma se si va avanti così, facendo finta di niente, viene da domandarsi: l’interesse economico fa il paio con quello politico? Quanti sono i profili fake attribuibili a singoli o intere forze politiche per acquisire consensi sui social e scatenare campagne contro gli avversari? Avrebbero lo stesso seguito sui social senza i “ghost writer”? Quali le altre “lobby” interessate a mantenere lo status quo e a fomentare odio sociale? E non si sbandieri per l’ennesima volta  lo slogan della “Rete libera” perché non ci crede più nessuno.

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