Impossibilitate a girare i nuovi spot le agenzie pubblicitarie negli Stati Uniti stanno facendo ricorso a strumenti analoghi ai deepfake, cioè immagini alterate digitalmente grazie all’intelligenza digitale, per costruire spot realistici.
Sui principali canali televisivi statunitensi da qualche giorno stanno andando in onda nuove pubblicità che utilizzano tecnologie di manipolazione delle immagini. È il caso dello spot di State Farm, trasmesso durante un documentario della Espn sulla storia di Michael Jordan e dei Chicago Bulls. Nello spot il giornalista sportivo televisivo Kenny Mayne, che oggi ha 61 anni, viene mostrato mentre presenta la trasmissione “SportsCenter” nel 1998. Solo che le immagini sono sintetiche: ricreate utilizzando vecchi spezzoni televisivi e alterandoli con la stessa tecnica basata sulla intelligenza artificiale con la quale vengono costruiti i deepfake in rete, utilizzati per esempio negli ultimi mesi per screditare i candidati alle prossime elezioni presidenziali americane.
Nello spot il giornalista durante il finto commento di una partita del 1998 profetizza che “Questo tipo di azioni prima o poi saranno il materiale per un documentario della Espn. Qualcosa che si potrebbe chiamare “The Last Dance” e che potrebbe essere trasmesso in dieci puntate nel 2020. Vi piacerà. Ancora non sapete cosa vuol dire ma questa clip verrà usata per promuovere il documentario in una pubblicità della State Farm».
I produttori dello spot hanno utilizzato immagini recenti di Mayne e altre di quando aveva 38 anni, nel 1998, per realizzare lo spot. «Abbiamo provato a far capire subito a tutti che si tratta di uno scherzo, in modo tale da non ingannare nessuno», ha detto Carrie Brzezinski-Hsu, responsabile di Espn CreativeWorks. Secondo Brzezinski-Hsu altro materiale di questo tipo molto probabilmente comparirà presto anche in altri spot e non solo su Espn. Altri dirigenti di agenzie pubblicitarie americane hanno dichiarato al New York Times che stanno lavorando a pubblicità realizzate in questo modo.
Il problema è l’impossibilità di lavorare girando spot nella maniera tradizionale: «Siamo così bloccati per quanto riguarda la produzione di nuovo materiale – ha detto Kerry Hill, direttore di produzione della agenzia Fcb per gli Usa – che stiamo esplorando qualsiasi cosa si possa realizzare utilizzando il computer».
Secondo Husani Oakley, responsabile tecnologie dell’agenzia pubblicitaria Deutsch, gli spot alterati digitalmente dovrebbero fornire sempre delle indicazioni per far capire agli spettatori che quello che stanno vedendo non è completamente vero.
La pandemia sta accelerando un processo che però era già iniziato da qualche tempo. Nel 2018 l’agenzia pubblicitaria Wieden & Kennedy di Londra aveva collaborato con Gillian Wearing per realizzare uno spot completamente deepfake, che utilizzava il volto di Wearing “incollato” in tempo reale sul corpo di un ballerino. L’anno dopo la Goodby Silverstein & Partners, agenzia americana, aveva realizzato una app che permetteva di sovrapporre il volto degli utenti al corpo del ballerino Lil Nas X che danza nello spot di una marca di patatine. L’app era stata descritta come un “deepfake dentro un dancefake”.
Il fenomeno dei deepfake, che è emerso in rete dapprima nel settore della pornografia per passare poi a quello della politica, è sotto la lente d’ingrandimento di Facebook e Twitter che, in vista delle elezioni politiche americane di novembre, stanno cercando di trovare ed eliminare i video manipolati.
La tecnologia sta avanzando molto rapidamente e il livello di sofisticazione anche. Secondo Oakley le piattaforme dei social media alla fine dovranno sviluppare degli algoritmi che aiutino gli utenti a distinguere i video genuini dai deepfake. «Non siamo già più in grado di riconoscerli – ha detto Oakley – e dovremo usare le macchine per sapere quali video sono veri e quali sono falsi».