Esplosione del business, un potere di innovazione quasi
ineguagliato, il macigno del video su YouTube che ha portato alla
condanna di tre manager a sei mesi di carcere: è Stefano Maruzzi,
numero uno di Google Italia, a parlare dei temi più scottanti che
riguardano la sua azienda in un’intervista concessa a Il Sole 24
Ore, la prima da quando, tre mesi fa, l’ex manager di Microsoft,
Condè Nast e Rcs è passato a dirigere la filiale di Mountain
View. “Il settore a maggior crescita è quello dei video e di
YouTube, soprattutto in termini di partnership”, sottolinea
Maruzzi.
La spinta verso l’alto è talmente forte che l’azienda da poco
è entrata “nell’ottica di colloqui con i produttori di
contenuti per capire se sono interessati a trasferire il loro
prodotto sulla nostra piattaforma creando dei canali brandizzati,
come già avviene con la Rai”.
“Oggi siamo saliti a 25 ore di video caricati ogni minuto su
YouTube”, continua Maruzzi. “La massa di contenuti che viene
trasferita sui nostri server è gigantesca. E uno potrebbe dire:
più video equivalgono a più opportunità di business. Peccato che
noi possiamo associare pubblicità solo a contenuti certificati,
ovvero dei quali conosciamo l’origine per creare un canale con il
brand di un’azienda con la quale facciamo accordi”.
Le domande a cui rispondere sono tante. Sulla piattaforma di Google
possono essere caricati video con contenuti offensivi, come quello
del 2006 messo online da alcuni studenti di Torino che malmenavano
un ragazzo disabile. Ma i fatti di quell’anno si riferiscono a
Google Video, il cui modello di business era molto diverso da
quello di YouTube, chiarisce Maruzzi. “Sulla vecchia piattaforma
non c’era monetizzazione, non c’era pubblicità e neppure
quello che si chiama universal search”. Insomma, nel 2006,
secondo l’Ad di Google Italia, non c’era modo di guadagnare da
quel video. “Crea imbarazzo sentire accuse del genere quando il
prodotto aveva queste caratteristiche”.
E se su YouTube vengono caricati video protetti da copyright? Il
Sole fa riferimento alla partita con Mediaset sui video
“illegali” del Grande Fratello, tra i contenuti più cliccati
di YouTube. Il tribunale di Roma lo scorso 12 febbraio ha respinto
il reclamo di Google in merito all’obbligo di rimozione dal
server di questi contenuti. “Il giudice si è espresso per capire
qual è la modalità corretta per procedere alla rimozione dei
video e stiamo definendo gli aspetti tecnici. Noi riteniamo che la
soluzione possa essere la piattaforma gratuita Content Id, che fa
tutto in automatico”, secondo Maruzzi. “Il problema è avere i
video originali, partendo dai quali si può procedere alla
rimozione delle copie”.
I grattacapi di Google non finiscono qui. C’è anche la partita
con gli editori. L’indagine dell’antitrust è stata estesa da
Google News ad Adsense, la piattaforma di intermediazione della
pubblicità online: l’accusa è che i contratti non siano
trasparenti, perché gli editori non sanno come sono ripartite le
quote. Risponde Maruzzi: “Per quanto riguarda i contratti della
pubblicità online il meccanismo della sottroscrizione della
partnership con Google, proprio perché avviene su Internet, non
prevede una negoziazione vera e propria. Ovviamente non siamo
felici che l’antitrust abbia esteso l’istruttoria ma stiamo
collaborando a tutto tondo e siamo fiduciosi. Vorrei ricordare che
nel 2009 Google ha ripagato con oltre 5 miliardi di dollari i
partner di Adsense in tutto il mondo”.
Ma, alla domanda se l’azienda sia pronta a rivedere questi
contratti, Maruzzi “non sa rispondere”. E sui progetti per la
rete, l’Ad italiano frena: test simili a quello negli Usa per
garantire un Giga di banda non sono previsti in Italia e al momento
la filiale nostrana del colosso di Mountain View non pensa ad
entrare in una eventuale società delle reti, assieme a partner
come Telecom Italia e la Cdp: “Ci sarebbero diversi interlocutori
pronti ad ascoltare, ma da qui a dire che oggi è ipotizzabile un
impegno concreto in questo progetto ne passa”.