Le probabili (e non sicure) decisioni sul canone Rai potrebbero sconcertare. In realtà appaiono in linea con il fastidio verso la complessità della tecnologia digitale, nutrito dall’esecutivo, in cerca della semplicità friendly offerta agli utenti dai grandi provider di software e contenuti on line. Nella legge di Stabilità si prevede di inserire il canone Rai nelle bollette elettriche per superare l’atavico problema dell’evasione di oltre 600 milioni annui mancanti rispetto all’incasso di 1,6 miliardi.
L’evasione riguarda tutta la platea di 16 milioni di contribuenti del paese, di cui non pagano il 26% delle famiglie del Nord ed oltre il 37% del Sud. Un’evasione a macchia di leopardo dove uno dei comuni che paga di più è siciliano e dove uno dei peggiori, con la quasi totalità di inadempienza, 91%, è della provincia torinese. Recuperando l’evasione e le morosità, il fatturato Rai tornerebbe ai 3 miliardi di un lustro fa. Dopo svariati anni di giubilo e di complimenti con se stessi, si scopre che in un lustro il risultato operativo ha perso mezzo miliardo, il canone incassato è sceso quasi del 6% e gli introiti di mercato sono calati ancora di più, dai 1,3 miliardi del 2009 a 900 milioni, anche per la politica di svendita dei minuti pubblicitari. Il tutto con la riduzione del personale di un migliaio di unità.
Nato come costo del servizio di ascolto della radio nel ’38, il canone è divenuto un’imposta di possesso del televisore a prescindere dalla fruizione delle trasmissioni Rai ed ora si prepara a divenire imposta di possesso di computer, tablet e smartphones. Da canone televisivo si trasforma in digitale poiché per le giovani generazioni, e non solo, la televisione è uno dei tanti servizi offerti dagli apparati digitali. La trasformazione è la seconda scelta d’impatto popolare adottata in campo informatico tecnologico dopo il 730 precompilato. Quest’ultimo ha visto solo il 7% degli utenti fare da sé on line. Per la restante utenza del 93% delle famiglie il fisco fai da te è risultato più problematico e più oneroso degli anni precedenti. Nel caso del nuovo canone digitale, per logica il canone sarebbe dovuto passare sulle utenze dei gestori di rete che gestiscono, dopo l’avvento del digitale terrestre, il flusso sia televisivo che telefonico. Si è invece optato per i gestori di rete elettrica, per avere l’arma del ricatto della sospensione totale del servizio elettrico in caso di mancato pagamento.
Si sarebbe potuto scegliere, per un uguale effetto minatorio, il servizio idrico o quello del gas. Si è, in concreto, valutato che la minaccia del distacco telefonico di rete fissa avesse lo stesso valore dei tentativi della Rai di recuperare il canone mancante. In primo luogo, se ne deduce che non solo lo Stato non sa come far rispettare determinate richieste d’imposta ma che dà per pacifico che determinati mercati siano a maggiore probabilità d’insolvenza che altri. E che per cercare di riscuotere si affidi alla prima soluzione sbrigativa possibile. Tanto valeva prevedere allora in caso di mancato pagamento del canone, il fermo dell’auto o il blocco del passaporto. Sono già moltissimi i casi citati in cui l’automatismo identificativo tra canone e servizio elettrico non funziona e altrettante le minacce di cause a tutela dei risparmiatori. In secondo luogo, seguendo un miraggio telefonico già prospettato inutilmente negli anni ’90, e che si concluse con una perdita secca per gli utenti Enel, l’esecutivo individua nei gestori della rete elettrica i sostituti ideali per i gestori della filiera della rete telefonica digitale.
Probabilmente perché non ottiene da questi ultimi i miracoli pretesi di prezzi bassi, investimenti alti in un contesto altamente regolato di competizione europea indifesa rispetto a quella asio-americana. Così, dopo la boutade della nuova rete telefonica affidata all’Enel, la vicenda del canone conduce l’Autorità per l’energia elettrica a usurpare i temi delle reti digitale tlc e Tv, regolati dall’Agcom. In terzo luogo, sembra che non ci sia coscienza delle condizioni maturate nel mercato digitale. La Tv commerciale ed Internet sono stati offerti come piattaforme gratuite. A queste se ne sono aggiunte altre, di messaggistica, telefonia e videotelefonia mobile e non, altrettanto gratuite. L’evasione del canone Rai si è trovato improvvisamente a partecipare del grande fenomeno della pirateria digitale che strappa gratuitamente musica, film, libri e software ai suoi produttori e creatori e che è difficilmente contrastabile se non con misure drastiche liberticide individuali. Le quali hanno l’effetto non solo di distruggere lo spirito della rete ma anche di minare lo sviluppo pubblicitario che è l’unica valvola di sfogo profit che questo ambiente della comunicazione ammette e predilige. Altrimenti ci sono le soluzioni pay che riguardano taluni servizi e palinsesti in un contesto generalmente gratuito. La proposta dell’Autorità antitrust di «fornire la card Rai ai pagatori del canone per vedere trasmissioni Rai criptate” appare qui corretta. Svela che la Rai è una pay Tv, mai stata free come la Tv commerciale o parte di quella satellitare.
L’idea rispetterebbe il possesso degli apparati tlc con la volontà o meno di usufruire dei servizi Rai. Ovviamente non sarà presa in considerazione per il timore più che legittimo che come per i partiti, solo pochissimi acquisterebbero questa card Rai. Retropensiero che la dice lunga sull’effettivo status della tv pubblica. Nessuno, nemmeno trai suoi fautori e difensori, la considera un servizio pubblico, teso alla didattica, alla divulgazione, alla semplificazione burocratica, al sostegno dell’innovazione, alla interattività con associazioni e corpi sociali. La Rai è un produttore di cinema; una tv commercial che malgrado il vantaggio fiscale, si è fatta superare sul mercato da due grandi competitor privati; una tv dei partiti che per alterne vicende ha rappresentato una voce governativa, poi tre voci governative, poi quasi due ed ora interpreta solo una parte del partito dominante, nella grande indifferenza per tutte le opinioni di altre formazioni e associazioni politiche e parapolitiche.
E’ tutto e di più ma non è un servizio pubblico. E’ una delle ex grandi aziende di Stato ancora nella lenta agonia di passaggio alla definitiva privatizzazione. Angoscia che le fa rincorrere il senso di un canone che è tassa per la sua sopravvivenza e che non le fa vedere l’impellente necessità di sposare reti digitali e televisive per una grande offerta produttiva. L’esecutivo, come il consumer, ama le soluzioni offerte cotte e mangiate. Cosa in cui eccellono i provider americani che usano tutte le sinergie possibili tra rete e video. Come evidenzia il caso del canone, l’esecutivo mostra indifferenza per Telecom e Rai. Invece sono proprio le competenze di queste due grandi imprese, costruite su milioni di bollette pagate, che possono produrre l’Internet di servizio del futuro che giustificherebbe i canoni pagati sulle reti sue proprie.