La pubblicità online è un mercato molto promettente in Italia,
anche se ancora giovane. Ora bisogna scongiurare un pericolo: di
tarpargli le ali con leggi troppo restrittive sulla privacy,
sostiene Iab Italia (Internet advertising bureau). Ce ne parla
Fabiano Lazzarini, general manager di Iab.
Dove si sta indirizzando l’advertising online?
L’avvento dei social network sta modificando la tipologia e le
modalità di advertising?
In termini generali il mercato cresce (prevediamo un +15% nel
2011). Il ruolo dei social network è che fanno avvicinare alcuni
investitori alla pubblicità. Piaccia o no, questo è un mondo che
vive anche di mode. E adesso quello che va di moda sono i social
network. Poi però gli investitori, scoperti i vantaggi della
pubblicità internet, adottano anche gli altri strumenti. I social
network sono soltanto uno dei tanti. Salvo casi molto rari, quello
che funziona meglio sulla pubblicità online è l’utilizzo di
tutti gli strumenti. La rete è complessa, da questo punto di
vista, ma quando è usata bene dà risultati notevoli.
Le aziende che fanno pubblicità online che cosa si
aspettano in termini di ritorni?
Sono gli obiettivi tradizionali della comunicazione. Brand
awareness oppure far trovare un proprio prodotto invece di quello
dei concorrenti. Prima spendevano in pubblicità Internet solo con
i residui di budget. Adesso ci vanno con molto interesse e con la
volontà di usare il mezzo in modo scientifico, come già si fa con
la tivù.
Ma che cosa di Internet apprezzano di più?
La possibilità di raggiungere clienti molto ben definiti, con un
basso investimento, e di sperimentare campagne diverse rispetto a
quello che fanno di solito con la pubblicità tradizionale. Va
detto tuttavia che solo alcune aziende italiane riescono già a
valutare il ritorno dell’investimento su Internet.
L’universo del marketing e della pubblicità online è spesso
finito nel mirino per lo sfruttamento illecito dei dati degli
utenti attraverso la profilazione: è vero che esiste un mercato
nero dei dati?
Anche io ne ho sentito parlare, anche se non ne sono mai venuto in
contatto. Immagino di sì, ma comunque non fa a capo ad aziende
serie, ma a un sottobosco di truffatori. Che catturano dati
personali e poi li usano per fare phishing online.
Non ci sono investitori pubblicitari che comprano dati
ottenuti illegalmente?
No, non avrebbe senso. Sugli utenti Internet è possibile avere
informazioni legali, avuti con il permesso dell’utente e che
hanno costi non eccessivi. Perché le aziende dovrebbero andare nel
mercato nero e avere database di dubbia preferenza?
Iab ha uno “statuto” in tema di privacy online? Ovvero:
le aziende associate devono rispettare regole per garantire la
corretta applicazione delle norme sulla privacy?
Uno statuto no, ma stiamo lavorando a livello europeo su un codice
di autoregolamentazione. Darà linee guida agli operatori per
orientarli all’utilizzo dei dati. Non è stato ancora deliberato
e quindi non posso darne i dettagli. L’obiettivo però è
permettere all’utente di sapere se ha cookie sul proprio pc, di
scoprire da quali network pubblicitari vengono e di rimuoverli se
non li vuole.
La legge italiana sulla privacy è più severa rispetto a
quella di altri Paesi: quali differenze ci sono in termini di
gestione e utilizzo dei dati? È possibile applicare norme
nazionali in un contesto, come quello del Web, che non ha confini
geografici?
Non le nascondo che è una questione molto complicata. Il Web è
per definizione internazionale e per i grandi attori, che operano
su molti Paesi, è difficile allinearsi alle norme nazionali.
Adesso quello che stiamo cercando di scongiurare è il passaggio a
un regime di opt in per i cookie. Vorremmo che si rimanesse come
ora, con l’opt out, ma informando bene l’utente su quello che
deve fare per rifiutare i cookie. Già il nostro Paese è in
ritardo e i nostri operatori fanno più fatica della media;
vorremmo evitare ulteriori barriere per questo che secondo noi
sarà uno dei pochi mercati in crescita.
Lazzarini (Iab Italia): “Non strozzate la pubblicità online”
Il general manager dell’associazione: “Privacy ok, ma servono regole equilibrate: ulteriori barriere rischiano di frenare la crescita di un mercato promettente”
Pubblicato il 18 Apr 2011
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