Quando parliamo di Ott molti ancora non sanno bene di che parliamo, ironizzano sulla formula Over The Top come si trattasse di una citazione attardata di un film con Sylvester Stallone, o circoscrivono agli Stati Uniti il fenomeno del video on demand. Considerano il sistema televisivo ancora un walled garden, un giardino murato inattaccabile ad agenti esogeni, senza rendersi conto che il muro è diventato un colabrodo, e che già oggi la televisione generalista rappresenta non più del 70% dell‘ascolto televisivo.
Nonostante la crisi economica si affermano forme premium, on domand, o transiti attraverso la rete (Cubovision ad esempio). Alla Mostra del Cinema di Venezia, invitato da Mibac-Direzione generale per il cinema, Anica e Centro sperimentale a tenere un relazione insieme a Gianni Celata sul tema degli Ott e il cinema italiano, ho toccato con mano l’incredulità di alcuni, accanto alla forte preoccupazione di altri circa l’ingresso di nuovi colossi rispetto a cui non solo le società televisive, ma anche quelle telefoniche appaiono come creature indifese; magari con fatturati più alti, ma tassi di crescita assolutamente ridicoli. Insomma, gli enti televisivi come soggetto debole; le Tlc condannate a costruire reti telematiche di nuova generazione su cui passeranno trionfalmente altri soggetti che dirotteranno i loro incassi verso paradisi tributari o legali dentro e fuori l’Europa. E intanto gli Ott senza immobilizzazioni materiali, senza personale, senza reti proprie aggregano contenuti, li vendono in rete; poiché il tempo dei clienti è comunque una risorsa scarsa, la loro attività è in concorrenza con tutte le altre forme di consegna dei contenuti (delivery), dalla sala alla tv tradizionale, compresa quella a pagamento. Il gigante Netflix dagli Usa è sbarcato in UK, poi nei paesi nordici, poi in Olanda e Belgio, poi in Francia e in Germania. Rotta consueta per le esportazioni americane. Ma a quando lo sbarco in terra italiana?
Forse siamo protetti solo dal nostro calante potere d’acquisto. Certo non dallo scherno di chi, non vedendo in giro per l’Italia un’affermazione della connected tv, che negli Usa sfiora il 40% delle case, si illude che questa integrazione fra computer e tv non arriverà mai. Abbiamo assistito a lotte per avere la posizione migliore sul telecomando. Ma nella connected tv le icone dei vari fornitori di contenuti sono disposte secondo i gusti dell’utente, che sceglie lui quali mettere e quali no, come sulla schermata del computer. Le icone che inserisce hanno tutte uguale grandezza, e a quel punto alla famiglia davanti alla tv interesserà poco se quel contenuto arriva via cavo a larga banda, via satellite o via digitale terrestre. Interesserà solo se costa, e quanto, e soprattutto se vale. Produttori e distributori sono avvertiti.