IL CASO

Mediaset: “Se cambiano le regole su Tv e Tlc interessati a Rete Unica”

La corte di Giustizia Ue “boccia” la legge Gasparri: “Contraria al diritto Ue”. Accolto il ricorso di Vivendi contro lo stop all’acquisizione del 28% del Biscione, che replica: “Anche noi finora penalizzati dai divieti. Se si aprissero nuove opportunità guarderemo al business delle tlc”

Pubblicato il 03 Set 2020

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La Corte di giustizia Europea dà ragione a Vivendi nella battaglia legale in corso contro Mediaset. Dopo il pronunciamento del tribunale di Amsterdam arrivato nei giorni scorsi, anche quello favorevole ai soci francesi, oggi è arrivato quello della corte di Giustizia europea che ha risposto al Tar del Lazio sulla compatibilità delle norme italiane in materia radiotelevisiva, in particolare dell’articolo 43 della legge Gasparri, il cosiddetto Tusmar, il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, con le normative Ue. Un nuovo ostacolo nel percorso che porta alla costituzione di Media For Europe, la holding destinata a raggruppare le attività di Mediaset in Italia e in Spagna, che vede una netta opposizione da parte dei soci francesi. Allo stop però arriva velocemente la reazione di Mediaset, che afferma di essere pronta a scendere in campo sul terreno delle Tlc e della Rete unica in fibra se cambiassero le disposizioni che regolano i rapporti tra Tv e Tlc.

“La disposizione italiana che impedisce a Vivendi di acquisire il 28% del capitale di Mediaset – recita la sentenza – è contraria al diritto dell’Unione”. Nello specifico, tra i vari ricorsi messi in campo, Vivendi aveva impugnato davanti al Tar la delibera dell’Agcom basata sulla normativa italiana che imponeva ai francesi di congelare la propria quota in Mediaset sotto il 10%. “La disposizione di cui al procedimento principale ha ristretto la libertà di Vivendi di stabilirsi in Italia, impedendole di influire maggiormente sulla gestione di Mediaset mediante un’acquisizione di partecipazioni superiore a quella che essa aveva previsto. Essa costituisce quindi una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’articolo 49 Trattato di funzionamento dell’Ue”.

Mediaset prende atto dell’odierna sentenza della Corte di Giustizia europea. Si tratta di rilievi che dovranno essere esaminati nelle successive fasi di giudizio davanti al Giudice nazionale competente e su cui si confida che l’Autorità garante per le Comunicazioni possa fornire ogni opportuno chiarimento – si legge in una nota di Mediaset a commento della sentenza – In più, l’Autorità dovrà valutare i rischi per il pluralismo, valore fondamentale per lo stesso diritto dell’Unione Europea, derivanti dalla possibilità illimitata per le imprese dominanti nelle Telecomunicazioni di rafforzare la propria posizione nel settore Media. Se, al contrario di quanto prevede oggi la Legge italiana, si aprissero possibilità di convergenza tra i leader delle Tlc e dell’editoria televisiva, Mediaset che in tutti questi anni è stata vincolata e penalizzata dal divieto valuterà con il massimo interesse ogni nuova opportunità in materia di business Tlc già a partire dai recenti sviluppi di sistema sulla Rete unica nazionale in fibra“.

Vivendi era stata protagonista di una scalata nel capitale di Mediaset alla fine del 2016, con una presenza che era arrivata al 28,8% del capitale sociale del biscione. Circostanza che aveva portato Mediaset a ricorrere all’Agcom con la motivazione che la posizione di Vivendi violasse le norme italiane a difesa del pluralismo dell’informazione, dal momento che i francesi detenevano già una quota rilevante in Tim. Nell’aprile 2017 Agcom aveva così messo Vivendi di fronte alla scelta di congelare sotto al 10% la propria presenza in Tim o in Mediaset, e vivendi aveva optato per Mediaset, trasferendo a Simon Fiduciaria il 19,19% di Mediaset, impugnando però contemporaneamente la delibera Agcom al Tar del Lazio. I giudici amministrativi avevano così chiesto alla Corte di Giustizia Ue lumi sulla compatibilità delle norme italiane con l’articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea relativo alla libertà di stabilimento.

“La Corte ricorda che l’articolo 49 Tfue osta a qualsiasi provvedimento nazionale che possa ostacolare o scoraggiare l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, della libertà di stabilimento garantita dal Tfue – spiega la Corte di Giustizia Ue nella nota in cui pubblica i contenuti della sentenza – E’ questo il caso della normativa italiana che vieta a Vivendi di mantenere le partecipazioni che essa aveva acquisito in Mediaset o che deteneva in Tim, obbligandola quindi a porre fine a tali partecipazioni, nell’una o nell’altra di tali imprese, nella misura in cui esse eccedevano le soglie previste”.

Se si può ammettere in linea generale che una restrizione alla libertà di stabilimento possa essere giustificata da un obiettivo di interesse generale, come nel caso della tutela del pluralismo dell’informazione e dei media, specifica la Corte, “ciò non avviene nel caso della disposizione in questione, non essendo quest’ultima idonea a conseguire tale obiettivo”.

Il diritto dell’Ue, prosegue la Corte, prevede una distinzione – nel campo dei servizi di comunicazione elettronica – tra la produzione di contenuti e la loro trasmissione: “Le imprese operanti nel settore delle comunicazioni elettroniche, che esercitano un controllo sulla trasmissione dei contenuti, non esercitano necessariamente un controllo sulla produzione di tali contenuti – spiega la Corte – Ebbene, la disposizione in questione non fa riferimento ai collegamenti tra la produzione e la trasmissione dei contenuti e non è neppure formulata in modo da applicarsi specificamente in relazione a tali collegamenti”. Secondo i giudici europei le norme italiane definiscono in maniera “troppo restrittiva il perimetro del settore delle comunicazioni elettroniche”, escludendo in particolare mercati che rivestono un’importanza crescente per la trasmissione di informazioni, come i servizi al dettaglio di telefonia mobile o altri servizi di comunicazione elettronica collegati ad Internet nonché i servizi di radiodiffusione satellitare: siccome queste forme sono divenuti la principale via di accesso ai media, “non è giustificato escluderli da tale definizione”, conclude la Corte.  In conclusione, secondo la Corte di Giustizia Ue, “La disposizione italiana fissa soglie che, non consentendo di determinare se e in quale misura un’impresa possa effettivamente influire sul contenuto dei media, non presentano un nesso con il rischio che corre il pluralismo dei media”.

Ora il caso torna al Tar del Lazio: “Il rinvio pregiudiziale – spiega la Corte Ue – consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte”.

“L’effetto della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea è diretto e immediato”, afferma Giuseppe Scassellati Sforzolini, a capo del team dei legali di Vivendi, secondo cui il Tusmar decadrebbe nella parte che impediva la concentrazione tra operatori Tlc e generatori di contenuti media: “E’ il famoso comma 11 dell’articolo 43 del Tusmar che la Corte ha chiaramente detto contrario al diritto dell’Unione – spiega Scassellati – che ora viene ‘cancellato’ di fatto dall’ordinamento italiano, senza necessità di recepimento da parte del Tar, mentre invece l’Agcom dal nostro punto di vista potrebbe adeguare i suoi provvedimenti precedenti”.

A commentare la sentenza interviene anche Maurizio Gasparri, ex ministro delle comunicazioni e oggi senatore di Forza Italia: “La sentenza europea sulla vicenda Vivendi-Tim-Mediaset, apre scenari che qualcuno valuterà con superficialità, commettendo degli errori – afferma – Diamo quindi un avviso ai naviganti. Quando si alza la barriera del passaggio a livello, il transito viene autorizzato in una direzione e in un’altra. Traduzione: nel 2004, quando varammo la Legge Gasparri, all’art. 15, con il comma 4, ponemmo un limite antitrust più basso nel sistema delle comunicazioni per le società che avessero una posizione dominante, di almeno il 40%, nel settore delle telecomunicazioni. La norma all’epoca fu sollecitata soprattutto da coloro che temevano un matrimonio tra Mediaset e Telecom, con la nascita di un gigante che veniva considerato ‘pericoloso’. Mettemmo quindi non solo i paletti per quanto riguarda il sistema integrato delle comunicazioni, che indicava il 20% come il massimo che un singolo potesse detenere, ma portammo questo 20% al 10% per chi aveva una posizione forte nel campo della telefonia”. “Oggi, dopo la vicenda Vivendi-Mediaset, le autorità europee dicono che quel tetto non vale. Ma non vale per nessuno. Quindi potrebbero nascere nuove aggregazioni anche con riflessi, ad esempio, sulla dinamica della rete unica delle Tlc di cui tanto si parla – prosegue Gasparri – Dissi all’epoca, a quelli che consideravano Mediaset un colosso, che sbagliavano. Perché quello che sembrava un gigante in Italia era un nano se proiettato sulla scena mondiale. Ora si possono riaprire dinamiche sul mercato italiano ed europeo, in un senso e nell’altro”. ” Il problema poi sullo sfondo – conclude – resta quello dei giganti della rete che operano nel campo delle comunicazioni, dei media, del commercio, senza pagare tasse. Quelli vanno tenuti a bada perché, esonerati da qualsiasi pagamento fiscale, come di fatto avviene, prima o poi marceranno sulle macerie di quelli che si illudono oggi di aver vinto quando invece non hanno vinto nulla. Anzi, potrebbero aver perso”.

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